Il mondo occidentale ha spesso il vizio di semplificare pratiche e usi di altre culture lontane dimenticando di comprenderle realmente. Non è raro vedere attingere alle tradizioni di un popolo estrapolandole però dal contesto, tralasciando le origini e il significato di gesti e parole.
Quando si sentono termini come kinbaku e shibari è immediato ricollegarli al mondo del bondage, quindi del BDSM, quelle pratiche relazionali ed erotiche basate sul disequilibrio di potere tra due o più adulti consenzienti. Il collegamento è comprensibile ma non del tutto corretto.
Approfondiamo la vera origine di questa pratica e di come sia cambiata nei secoli fino ad aver raggiunto in occidente un significato meramente sessuale, almeno tra i più.
Cosa sono kibaku e shibari?
Partiamo dal dire che shibari 縛り e kinbaku 緊縛 sono praticamente sinonimi, ma con sfumature diverse. Entrambi significano “legare“. Nella società moderna il riferimento più diretto è la pratica sessuale poc’anzi accennata del bondage, ovvero l’immobilizzare il corpo del partner. Lo scopo della pratica è la forte emozione fisica data dalla costrizione del corpo ed il rapporto stesso tra dominante e dominato. Nel caso dello shibari (o kinbaku) la costrizione avviene attraverso delle corde e la sua pratica è elevata a forma d’arte. Spesso il corpo della persona è costretto con complessi intrecci e sovente è appeso in modo che possano risaltare le forme create dalle corde, accentuate con la complicità della gravità.
Il corpo della persona legata è considerata per i maestri di corda, nawashi 縄師, come una tela dove esprimersi. Per comprendere l’importanza di quest’arte basti pensare che nel 2021 l’università di Kyoto organizzò un simposio dedicato proprio a questa pratica con tanto di dimostrazione che potete vedere qui.
È quindi importante comprendere che lo shibari non è mera pratica sessuale, ma un arte che necessita studio, tecnica, conoscenza delle tradizioni e ha profonde origini nella cultura giapponese.
La differenza tra Kibaku e Shibari
In verità una minima differenza c’è, ma non tanto nel significato dei termini, ma nel modo di percepirli. La linguistica ci viene in soccorso.
Il kanji del termine shibari deriva dal verbo “shibaru” 縛る che significa generalmente “legare, rilegare o vincolare”. Lo si utilizza comunemente in Giappone come ad esempio in “hana wo shibaru” 花を縛る, legare i fiori. O ancora in senso lato come in 彼は約束に縛られている, “lui è legato da una promessa”. Il termine è originario della lingua giapponese e solo successivamente si legò all’ideogramma che conosciamo, importato dalla Cina con il sistema di scrittura.
Kinbaku 緊縛 è invece un neologismo giapponese recente, nato intorno al XX secolo che ha come unica connotazione quella sessuale. È costituito da due ideogrammi; il primo 緊 significa “stretto” ed il secondo 縛 è il medesimo di shibari quindi “legare”. Possiamo così immaginare un qualcosa che non può minimamente muoversi.
La differenza nell’uso dei due termini è sensoriale. I termini di origine giapponese sono percepiti in modo più “morbido” e “informale” rispetto ai termini di origine cinese, più “duri”. Non è un fatto casuale, bisogna ricordare che fino al periodo Tokugawa gli atti ufficiali venivano scritti in cinese (come il latino continuò ad essere usato in documenti ufficiali in occidente anche molto dopo la caduta del”impero romano).
La differenza e la scelta dell’uso dei due termini è quindi personale e legata al contesto dove la si usa, ma non c’è una distinzione tra i due.
L’origine
La pratica di legare con corde è parte integrante della cultura giapponese e in generale corde e funi erano e sono parte della quotidianità dell’antico Giappone. Gli abiti tradizionali non hanno bottoni e si fermano attarverso nodi o incroci. Allo stesso modo lo shimenawa è la corda che delimita uno spazio sacro e la si trova facilmente nei santuari giapponesi. O ancora le antiche calzature artigianali, le geta, legate con le corde, o il kumihimo, l’arte di creare le corde. Infine lo stesso fodero ed elsa della spada era in parte costituito da corde sapientemente legate insieme.
Assunto quindi che le corde siano parte integrante della cultura giapponese, non deve stupire come queste venissero utilizzate anche nell’arte della guerra per imprigionare i prigionieri e viluppando un’arte: l’hojōjutsu 捕縄術.
Hojōjutsu 捕縄術
Il termine hojōjutsu significa letteralmente “tecnica della cattura attraverso la corda”, ed era un insieme di tecniche sviluppate a partire dal periodo Muromachi (1336 – 1573) utilizzate per immobilizzare i prigionieri. Gli insegnamenti di questa arte vennero tramandati di generazione nelle diverse scuole marziali e facevano parte del budō 武道, la “via del Samurai”.
Il metallo era un materiale prezioso nell’antico Giappone, gli si preferivano così le funi, fatte di comuni fibre naturali facilmente reperibili.
Le corde usate erano di colore diverso e portavano con se significati diversi, così come il tipo di nodo usato per bloccare il prigioniero.
Inoltre il gesto stesso di legare un’altra persona andava oltre il semplice atto pratico di bloccarne i movimenti. Essere legati era un atto di vergogna, di sottomissione socialmente grave e allo stesso modo il samurai che praticava la legatura aveva la responsabilità della salute del prigioniero. Se quest’ultimo fosse rimasto ferito o avesse perso la vita, il samurai sarebbe andato persino sotto accusa e perso il proprio onore.
Oggi la pratica è ovviamente scomparsa ma alcune tecniche sono ancora insegnate alla polizia giapponese che porta sempre delle corde nella vettura di ordinanza in caso di necessità.
La pratica diventa arte erotica
Il nesso tra l’atto di costrizione e l’erotismo nel mondo dell’arte giapponese non è moderno. Ne abbiamo un esempio nelle opere shunga 春画, un sottogenere erotico dell’ukiyo-e, le stampe artistiche su carta.
Molti grandi maestri del Giappone antico produssero splendide opere Shunga, da Hokusai a Utamaro, padri di opere come “la grande Onda” o “Donna che si asciuga il sudore”.
L’erotismo era parte della vita quotidiana e come tale non v’era nulla di strano nel rappresentarlo.
Un’altro importante contributo alla nascita dell’arte kinbaku fu il teatro kabuki, dove potevano essere rappresentate costrizioni punitive verso figure femminili (anche se interpretate da uomini) con un velato erotismo di contorno. Il kabuki rappresentava il teatro popolare e come tale portava in scena tanto le leggende antiche quanto scene di vita del tempo.
Ito Seiu
Il pittore Ito Seiu, vissuto a cavallo tra XIX e XX secolo, è considerato come il padre del kinbaku. Egli stesso raccontò che da ragazzo rimase affascinato da una scene di un opera kabuki in cui venivano rappresentate delle prigioniere legate e torturate per ottenere informazioni. La scena si tradusse ai suoi occhi come esempio di estetica della sofferenza.
Durante la sua carriera, il pittore non si limitò solo a rappresentare l’arte dello shibari, ma volle esprimere il sentimento di decadenza del Giappone pre bellico e di una società instabile, figlia di continui cambiamenti e influenze esterne. È considerato il padre dello shibari anche per essere stato il primo a realizzare delle foto a modelle in carne e ossa costrette da corde. Ito non seguì mai però le tecniche dell’hojōjutsu, ma si limità a rappresentare la sofferenza, l’atto di sottomissione, l’estetica del gesto slegato dalla tecnica. Piantò così il seme per il moderno kinbaku.
Ero-guru nansensu
Una certa influenza alla pratica moderna dello shibari fu data dall’Ero-guru nansensu. Questa nacque agli inizi del ‘900 in Giappone e derivava dai termini inglesi “erotic grotesque no-sense”. Il movimento attraversò trasversalmente arte e letteratura, unendo il mondo dell’erotismo con elementi grotteschi, macabri o bizzarri. Benchè temi simili fossero già stati rappresentati nella tradizione artistica giapponese, l’eroguru (abbreviato) divenne un fenomeno sociale. Non una semplice rappresentazione del perverso, ma un sottile legame tra la psicologia e l’erotismo, un sapiente studio di orrido e attraente, specchio di devianze e dei lati oscuri della società.
Molti critici del tempo tacciarono il movimento di essere frutto del modernismo, dell’influenza straniera e del consumismo. Rimproverarono alla società la perdita di valori e la compulsa ricerca di nuove fonti di distrazione. Così l’eroguru divenne anche sfogo della pressione sociale, delle tensioni del periodo inter-bellico, sfociando nell’aberrazione sessuale, specchio di una generazione di giovani giapponesi bisognosi di stimoli e curiosità, anche estreme.
Lo shibari nel senso moderno
Il primo passo verso la pratica moderna nacque dopo la seconda guerra mondiale, in un Giappone devastato economicamente e psicologicamente. Le riviste Kitan Club e Uramado cominciarono a pubbicare dapprima storie vagamente erotiche che trattavano anche di costrizioni, e a seguito del conseguente successo di quest’ultimo cominciarono a pubblicare anche le prime foto. Il fenomeno prese sempre più piede e sorsero così due scuole di pensiero; chi come Osada Eikichi dava importanza all’estetica dell’atto costrittivo, creò nuove tecniche e organizzava performance pubbliche e chi come Minomura Kou, approfondì il lato psicologico del rapporto tra nawashi e legato.
Contemporaneamente questa pratica fece capolino anche in America nella rivista “Bizarre”, influenzata dal fenomeno giapponese e influenzandolo a sua volta.
Nel corso dei decenni si sono sviluppate nuove tecniche derivanti dall’antico hojōjutsu e sono rappresentati spettacoli in tutto il mondo. Alcuni mirano alla costrizione come espressione di vergogna e mirano ad instaurare un rapporto emotivo con lo spettatore, altri ne sottolineano la spettacolarità con manovre improvvise e momenti tensivi.
Se un tempo le tecniche erano tramandate da maestro ad allievo, oggi si possono frequentare corsi, non solo in Giappone ma anche qui in Italia se lo si vuole.
Considerazioni personali
Questa pratica, come ogni altra forma di intrattenimento o d’arte, può piacere o meno e il fine di questo articolo non è invitare a praticarla. Lo spirito di Kunyomi è comprendere, chiedersi sempre il perchè e non rimanere mai in superfice.
Quello che spero di trasmettere è il desiderio di approfondimento, perchè dietro ad un argomento che possibilmente non interessa può sempre nascondersi un’interessante scoperta.
Personalmente vi confesso che senza l’approfondimento dello Shibari non sarei venuto mai a conoscenza facilmente dell’hojojutsu e di alcuni pittori e letterati del Giappone degli anni ’20. Siate sempre curiosi, la sete di conoscenza è combustibile per la vita!
Fonte:
ropetales
wikipedia
laquartacorda