Takeshi “Terry” Terauchi e l’eleki boom: la rivoluzione del rock in Giappone

Coloro che seguono Kunyomi attraverso i vari social, sanno quanto apprezzi la musica giapponese in ogni sua declinazione, che sia gagaku, pop, rock o jazz. Il panorama musicale che offre il Sol Levante è vastissimo e, come riscontrabile anche in altre forme d’arte, ha saputo attingere dal suo passato e ben amalgamare le influenze occidentali.

Se oggi abbiamo avuto il piacere di ascoltare musicisti come Miyavi, X Japan, Baby Metal, Tokyo Jihen, Luna sea, Uverworld, B’z e in generale qualunque artista che abbia un chitarra elettrica nella sua formazione, lo dobbiamo principalmente a un uomo: Takeshi Terauchi 寺内タケシ.

Terauchi, soprannominato “Terry“, non fu soltanto un musicista, ma riuscì a sdoganare il tabù della chitarra elettrica negli anni ’60, portandolo da simbolo di decadenza sociale ad essere apprezzata e di largo successo. Ma non si limitò a questo, riuscì infatti ad unire sacro e profano, componendo canzoni che univano strumenti tradizionali giapponesi al mondo del rock. Un Wagakki Band ante litteram per capirci.

Takeshi cavalcò la cosiddetta “Eleki Boom” giapponese, Surf Rock di inizio anni Sessanta che usava scale pentatoniche, strumentazione tradizionale mista a elettrica e cover di canzoni popolari.

Ma perché parlare adesso di questo artista? Lo spunto è sorto in occasione della recente uscita di una sua raccolta, Eleki Bushi, che ben rappresenta la sua evoluzione musicale dal 1966 al 1974, una raccolta di brani che hanno segnato la transizione dal Giappone tradizionale e quello del boom post-bellico.

La vita

Takeshi Terauchi 寺内タケシ nasce il 17 Gennaio 1939 a Tsuchiura un piccolo paese della prefettura di Ibaraki. Il suo destino però era in qualche modo già scritto, infatti crebbe in una famiglia con un padre che possedeva un negozio di elettronica, tra le altre attività, e una madre che insegnava musica, soprattutto il tradizionale shamisen. La combo di musica più negozio di elettronica fu fatale per un ragazzo curioso e con voglia di sperimentare.
Iniziò a suonare la chitarra classica sin dalla tenera età di cinque anni, imparando le basi dello strumento e avvicinandosi al mondo della musica. Tra i famosi aneddoti a lui dedicati, si raconta che grazie alla professione del padre, riuscì al contempo ad avere accesso a molti telefoni di riserva, dai quali a soli 9 anni tolse le bobine del ricevitore. Per fare cosa? L’ingegnoso Terauchi si industriò per collegare il tutto ad uno stereo per sirene antiaeree attraverso il quale amplificare la chitarra acustica del fratello ed intensificarne il suono. L’idea funzionò così bene che che gli ufficiali militari giapponesi rimproverarono suo padre per la trovata del figlio. Ovviamente questo non fu che l’inizio per il futuro papà del rock giapponese.

Quando Terry divenne maggiorenne, la musica rock iniziò a entrare preponderatamente in Giappone attraverso gli Stati Uniti. Lo stesso Takeshi suonò in varie basi militari statunitensi mentre era al college, trovandosi a far parte di gruppi “country and western” popolari prima dell’arrivo del “boom del rockabilly” nel 1958, caratterizzato da acconciature stile Elvis e balli importati dall’America.

L’esperto di cultura pop giapponese Julien Seveon racconta che in realtà Takuchi non era interessato a ciò che accadeva negli Stati Uniti, bensì a come venivano utilizzati gli strumenti, alla rivoluzione musicale. La commistione data dalla diffusione dell’Eleki Boom, l’interesse di Takeshi per il suono amplificato della chitarra e l’abilità di suonare divenne la sintesi perfetta per una nuova ondata di rock.

Rompere chi schemi

C’era solo un problema: gli adulti mal digerivano tutto questo “rumore” e certo non simpatizzavano per un genere musicale che proveniva oltreoceano. La chitarra elettrica era considerata come simbolo di degrado sociale rispetto alla musica tradizionale. Un clichè già visto ma che in Giappone portò i consigli scolastici persino a vietare le chitarre elettriche e dando così allo strumento un’aura delinquenziale.
Takeshi però non si arrese e si impegnò a contrastare questa situazione utilizzando le sonorità tradizionali del paese per far valere le proprie ragioni e dare allo strumento una nuova veste agli occhi dei più.

Tadayoshi Mizukawa, attuale produttore esecutivo della King Label Creative Headquarters, un ramo della famosa King Records giapponese e amico intimo di Takeshi, racconta che il giovane ragazzo si ribellò al divieto di usare le chitarre elettriche imposto alle scuole di tutto il Paese in quel periodo.

La carriera

La svolta per il giovane ventenne fu l’ascolto dei The Ventures, un gruppo surf-rock statunitense; questo era il genere di musica che voleva suonare. Nel 1962 forma così un sestetto chiamato The Blue Jeans con il quale comporrà i primi pezzi come Pipeline e Squad Car presenti nel primo album del 1963, Surfing.

Fino a quel momento, Terauchi aveva utilizzato una Fender Telecaster, uno strumento piuttosto raro per quell’epoca in Giappone. Avrebbe poi preso una chitarra ancora più rara, quella che sarebbe diventata il suo marchio di fabbrica: la Mosrite. Questa chitarra era infatti utilizzata proprio dal chitarrista dei The Ventures ed aveva un manico più sottile che ben si prestava a montare delle corde di scalatura minore perfette per le sonorità surf. Quella usata generalmente da Terry era una Mosrite nera.

Nel ’65 lascia i The Blue Jeans e nel ’66 fonda i Bunnys con i quali realizza un nuovo album, Let’s Go Terry!, e a seguire una compilation di riadattamenti di musica classica, tra Beethoven, Tchaikovsky, Chopin, ecc..

A questi album seguiranno alcuni lavori da solista e nel 1969 Terry rifonderà i The Blue Jeans con una nuova formazione e con loro continuerà la sua produzione negli anni ’70 e ’80.

Della vasta discografia di Terauchi è arrivato poco o nulla in occidente, un peccato per un artista che ha sempre saputo sperimentare, reinventarsi e che non avrebbe neanche subito i limiti della barriera linguistica dato che buona parte della sua produzione è solo strumentale.

L’eredità

Le canzoni della raccolta Eleki Bushi sono in parte una protesta, un’istantanea di Takeshi che prende la musica ritenuta “adatta” ai bambini e ci si scatena sopra. Ma è anche uno sforzo per dimostrare che la chitarra elettrica non è poi così diversa dai suoni tradizionali con cui è cresciuto. “Rispettava le antiche tradizioni giapponesi e sembrava che la musica fosse stata creata come un profondo tributo a sua madre”, afferma Mizukawa in un’intervista.

Il fenomeno nato con Terauchi crebbe negli anni e nel 1965 venne realizzata Ereki no Wakadaishō, una pellicola cinematografica parte di una serie nata agli inizi degli anni ’60, dove si annovera il musicista stesso tra gli attori e nella quale si raccontava anche di questa rivoluzione musicale.

Oggi la chitarra elettrica è diventata uno strumento centrale nella musica giapponese al pari di come lo fosse e lo shamisen nelle melodie tradizionali. La sua eredità non si limita però solo a questo. Nel Giappone moderno esistono diversi artisti che hanno hanno saputo coniugare tradizione e sonorità moderne, reinterpretando classici o utilizzando strumenti tradizionali accanto a quelli di origine occidentale. Oltre ai sopra citati Wagakki band, ricordo i Yoshida Brothers con i loro shamisen, Ryuichi Sakamoto con i suoi The Yellow Magic Orchestra e tanti altri.

Mi stupisco ancora oggi quando vedo interpretazioni di musica enka o brani tradizionali con strumenti occidentali, esibizioni figlie di una rivoluzione nata proprio con l’eleki boom. Un esempio di qualche anno fa è stato vedere Marty Friedman, ex chitarrista dei Megadeth, accompagnare Aki Yashiro sulle note di Ame no Bojō.

L’unione di antico e contemporaneo non si traduce però unicamente nella semplice convivenza di strumenti diversi. La capacità tutta giapponese di attingere dal passato la si riscontra anche nella struttura musicale e nelle scelte melodiche. Questa commistione di sonorità ha visto certamente in Terauchi uno dei maggiori rappresentati, un’eredità che è destinata a continuare e che merita di essere ricordata.

Fonti:
Wikipedia
norecessmagazine.com
daily.bandcamp.com