Quando si pensa mummie e mummificazione sono certo che la prima cosa che viene in mente sono l’Egitto, le piramidi e le bende con cui si avvolgevano i corpi dopo lunghi processi di preparazione post-mortem. In Giappone però alcuni asceti buddisti praticarono per lungo tempo una tecnica di automummificazione: il Sokushibutsu.
Origine
Il Sokushinbutsu 即身仏, letteralmente “Buddha nel suo stesso corpo”, era una pratica buddista praticata a partire dal XI secolo e le cui basi sono riconducibili al buddismo tantrico della scuola Shingon giapponese. Il suo obiettivo era raggiungere il Nirvana attraverso un lungo periodo di privazioni arrivando così a divenire Bodhi, quindi Buddha.
Questa pratica era comune solo tra i membri della setta Shugen-dō e si conoscono solo 24 monaci che nel corso dei secoli riuscirono a completarla.
Colui che porta a compimento lo Sokushibutsu non è considerato deceduto, ma in un costante stato di meditazione profonda. Il Bodhi un giorno si risveglierà per portare il messaggio
Il sokushinbutsu si dice fu intrapreso per primo da Kūkai, fondatore appunto della scuola Shingon. Nella sua angiografia si dice che trascorse gli utlimi anni di vita in totale meditazione senza cibo e acqua.
Le tre fasi del Sokushinbutsu
Il lungo e doloroso processo che avrebbe portato necessario per la mummificazione, il nyūjō 入定, era costituito da tre fasi. Ognuna di queste si costituiva di privazioni crescenti dalla durata di mille giorni e divenne particolarmente diffusa nella prefettura di Yamagata, nel nord del Giappone. Spesso i monaci si recavano in una delle tre montagne di Dewa dette, le Dewa Sanzan 出羽三山, ancora oggi considerate sacre.
Prima fase
In questa prima fase il monaco di dirige verso una montagna o una valle che prende il nome di senninzawa 仙人沢, letteralmente “palude degli immortali”, per cominciare il suo ascetismo. Durante questi mille giorni si sarebbe nutrito unicamente di acqua, noci e semi trovati nei boschi. Inoltre avrebbe accompagnato questo periodo da esercizio fisico. La motivazione alla base di questo rigida dieta era la necessità di perdere ogni massa grassa corporea.
Seconda fase
Trascorsi i primi mille giorni, il monaco intraprende una dieta ancora pù ferrea, limitando l‘alimentazione solo a corteccia, aghi e radici di conifere. L’eremita mantiene i muscoli del corpo attraverso esercizio fisico e la mente con la meditazione.
L’alimentazione tramite corteccia e in generale questa severa dietra prende il nome di mokujiki 木喰, letteralmente cibarsi di alberi. Durante questa pratica era fondamentale astenersi completamente dall’assunzione di ogni cereale o altro cibo che potesse far accumulare grasso.
Al termine di questa seconda fase il monaco cominciava a bere tè tossico a base di urushi 漆. Quest’ultima è una pianta che dà il nome all’omonima arte giapponese, dalla quale si estraeva la linfa utilizzata per laccare le ceramiche. L’assunzione di questo tè aveva due funzioni; da una parte provocava nausea, sudorazione, diuresi, facendo così perdere ulteriori liquidi e al contempo il corpo ne assorbiva la tossicità, diventando repellente per larve e insetti dopo la morte.
Terza fase
In questa ultima fase del Sokushinbutsu, il monaco si mette in posizione del loto e si rinchiude in una cripta appena grande per contenerlo. Qui rimarrà in meditazione sino alla sua morte senza cibo nè acqua, con solo una cannula di bambù che permetterà all’aria di entrare ed un campanello che farà suonare quotidianamente. Quando quest’ultimo non emetterà più suono significherà che il monaco è deceduto. Gli altri monaci provvederanno a sigillare la cripta e attenderanno altri mille giorni per riaprirla e controllare che il processo sia avvenuto correttamente. Qualora il corpo risulti mummificato, viene immediatamente venerato come Buddha. Al contrario, se presenta segni di putrefazione, si effettuerà un esorcismo rituale e sarà risigillato. In questo caso benchè non sia considerabile come Buddha, viene comunque rispettato per il lungo e doloroso percorso intrapreso.
Il sokushinbutsu ieri e oggi
Questo lungo e doloroso processo non è esclusivo della setta buddista Shugen-dō, ma è riscontrabile anche in altre parti dell’Asia come Cina, Tibet, India o Tailandia, anche se con pratiche diverse.
In Giappone questa pratica è considerata illegale dal 1877, quando il neo governo Meiji la abolì, ma l’ultimo monaco che portò a termine il rituale morì nel 1903.
Una simpatica curiosità riguarda un’eclatante caso di frode avvenuta in Giappone negli anni’70; una famiglia giapponese continuò a percepire la pensione del defunto congiunto adducendo come giustificazione proprio alla pratica del sokushinbutsu.
Questa pratica ha influenzato letterati, mangaka e creatori di videogiochi; si trovano delle citazioni nel videogioco Sekiro, in Shin megami Tensei, nel manga di Inuyasha o ancora nella famoso romanzo di Murakami “L’assassinio del commendatore“.
Fonti
Wikipedia
allthatsinteresting.com
atlasobscura.com