I cibi più strani del Giappone

La cucina giapponese è rinomata per la sua raffinatezza, eleganza nella presentazione e per il gusto ricercato. Inoltre ha il vantaggio di utilizzare molte verdure e prodotti freschi, risultando così molto salutare. Molte delle sue prelibatezze divenute famose in tutto il mondo: sushi e sashimi di pesce, riso al curry, omuraisu, tonkatsu, okonomiyaki, nikujaga, ramen, ecc…

Esistono però cibi e bevande molto meno conosciuti che potrebbero far storcere il naso, e non solo quello, a molti occidentali e giapponesi stessi.

Nattō 納豆

La soia in Giappone ha mille usi e consumazioni, una di queste è proprio il nattō 納豆なっとう, un piatto a base di soia fermentata attraverso il comunemente detto “bacillo del fieno”.
Il nattō ha sia odore che gusto intenso, una consistenza viscida e tradizionalmente viene servito come colazione messo sopra il riso.

Secondo un’antica leggenda la nascita del natto è legata al samurai Minamoto no Yoshiie che intorno all’anno mille fu attaccato insieme alle sua truppa in un momento di riposo proprio mentre stavano bollendo della soia. Costretti così a spostarsi in fretta, portarono con se la soia in delle borse di paglia. Quando poterono riaprire le borse in sicurezza, la soia era ormai fermentata ma i samurai l’assaggiarono comunque e trovando piacevole il gusto, la mangiarono.
In realtà si è ritrovata una probabile origine in relazione a un’antico piatto cinese chiamato “douchi” a base di soia nera fermentata che però ingredienti e processo di produzione diverso.

Anticamente il nattō era preparato attraverso una fermentazione naturale che avveniva conservando la soia all’interno di una piccolo involucro di paglia mentre dal XX secolo si utilizzano colture di fermentazione iniziali. Esiste ancora una varietà di nattō che si produce con l’antico metodo e prende il nome di waranattō 藁納豆わらなっとう.

Il Nattō è particolarmente comune nel nord del Giappone e nella regione del Kantō e secondo alcune statistiche è apprezzato dal 70% della popolazione nipponica.

Il natto è estremamente economico, tre porzioni da 50 grammi costano al supermercato circa 50 centesimi (75 yen).

Funazushi 鮒寿司

Il funazushi è una raro tipo di narezushi, ovvero pesce fermentato e la sua storia è legata all’origine del sushi moderno. Viene preparato vicino il lago Biwa dalla famiglia Kitashina da 18 generazioni, a partire dal 1619. Il termine funa indica una particolare specie di carpa pescabile nel lago.

Il processo di lavorazione prevedeva che il pesce si conservasse in riso e sale per un lungo periodo che poteva andare da uno a tre anni, quindi veniva scartato il riso e mangiato il pesce. Il sapore e l’odore sono molto intenso e si descrive un incrocio tra il profumo dell’aceto misto a odore di pesce e gorgonzola. Comunque per maggiori informazioni vi rimando all’articolo dedicato sull’origine del sushi.

Sappiate comunque che una porzione di funazushi costa intorno ai 60 euro (7000 yen).

Shirako 白子

Tra gennaio e febbraio questa ricercata prelibata pietanza chiamata shirako しら è servita nel Sol Levante nei migliori sushi bar. Il termine significa “bambini bianchi”, ma non si tratta ovviamente di cannibalismo, sia chiaro, ma di gonadi di merluzzo. Per chi non lo ricordasse, le gonadi sono le sacche dove è contenuto il liquido seminale.

Lo shirako viene servito sia crudo che cotto e, soprattutto se crudo, ha una consistenza cremosa che ricorda la crudité di pesce.
In Sardegna e Sicilia possiamo trovare qualcosa di simile nella preparazione della bottarga che viene lavorata e poi però venduta essiccata.

Per molti lo shirako è una specialità unica, un piatto delicato e pregiato, paragonabile alla raffinatezza del caviale tanto apprezzato alle nostre longitudini.

Il costo di una porzione da 100 grammi varia a seconda della varietà di pesce, ma al supermercato si aggira tra 1,50 centesimi (200 yen) per quello d’Alaska ai 4 euro (500 yen) se pescato fresco in Giappone.

Torisashi 鳥刺し

In occidente la cucina giapponese si identifica generalmente con sushi e sashimi e un po’ più raramente si trovano pietanze come ramen, nikujaga, yakiniku, udon, ecc. L’assonanza del termine torisashi とりし e sashimi potrebbe già dare qualche indizio sul tipo di piatto di cui parliamo. Sashimi significa letteralmente “pesce trafitto”, propio richiamando il fatto che è appena stato pescato e lo si mangia così fresco e crudo. Toriashi significa così pollo trafitto, ovvero una forma di sashimi di pollo!

Invero il pollo non è un eccezione all’usanza di mangiare carne cruda in Giappone, esiste ad esempio anche il bashashi, carpaccio di carne di cavallo (anche se abbastanza raro) o l’usanza comunissima di consumare l’uovo crudo, il namatamago.

Il torisashi ha una consistenza molto morbida e un po’ gommosa e talvolta lo si scotta leggermente per dare alla carne un po’ di maggior consistenza. Il pollo si gusta con wasabi, zenzero, salse e in generale con tutto quel che accompagna comunemente il sashimi.

Esistono anche ristoranti dedicati dedicati al torisashi che non offrono solo un taglio del pollo, ma arricchiscono l’esperienza culinaria con cuore, fegato e ventriglio. Tutto rigorosamente crudo ovviamente.

Per tutti coloro che volessero avvicinarsi a questo piatto, informo che esiste anche il toriwasa, pollo cotto “al sangue”, ovvero solo esternamente. Potrebbe essere un buon inizio prima di gettarsi nel mondo del pollame crudo.

Una porzione di torisashi è economica, circa 8 euro (1000 Yen).

Shirouo no odorigui シロウオの踊り食い

Amanti dell’Ikizukuri (la discutibile usanza di servire sashimi di pesce e molluschi ancora vivi) questo piatto è dedicato a voi. Infatti il termine Odorigui おどい si riferisce alla sensazione di mangiare creature marine vive, o “mangiare danzando”. Quando si tratta di shirouo no odorigui, le creature che “danzano” verso il loro triste destino sono piccoli pesci trasparenti, chiamati in giapponese shirouo. Questi prendono anche il nome di ghiozzi di ghiaccio e la consumazione di questa insolita bevanda è legata alla prefettura di Fukuoka, generalmente in bicchierini da cicchetto.

L’origine di questa tradizione non è certa, ma alcuni ipotizzano che sia nata a Fukuoka durante il periodo Edo. A causa delle continue esondazioni dei fiumi, sembra che il daimyo locale ordinò ad alcuni contadini di occuparsi della risistemazione degli argini e come ricompensa offrì loro alcuni barili di sake. I contadini, ciuchi per il duro lavoro e per l’alcol, li catturavano facilmente tramite le zawa, delle barriere di sassi o paglia messe in acqua e senza pensarci troppo li mangiavano senza neanche ucciderli.

Qualora possa sembrare pericoloso, si sostiene che poiché i ghiozzi si decompongono rapidamente una volta uccisi, mangiarli vivi è assolutamente sicuro.
Oggi, come la maggior parte dei frutti di mare freschissimi, i ghiozzi vivi sono considerati una prelibatezza ma difficilmente reperibili. A causa dell’inquinamento e delle diverse barriere architettoniche create dall’uomo in Giappone, questa specie è stata inserito nelle lista degli animali a rischio estinzione nel 2007 dal Ministero dell’ambiente.
Dato che va consumato da vivo, insieme ala scodella contenente salsa di soia e talvolta di quaglia crudo, ne viene fornita un’altra dalla quale “pescare” con un retino il piccolo ghiozzo. Starà poi a voi decidere se addentare, deglutire velocemente o far saltarellare in bocca il malcapitato prima di deglutirlo!

Una porzione ha il costo di circa 1800 Yen, 15 euro.

Habushu ハブ酒

Habushu ハブしゅ significa letteralmente alcolico di habu, dove habu è il termine utilizzato per indicare una particolare specie di vipera velenosa diffusa in tutto il sud-est asiatico. Si tratta così di sake alla vipera.
Questo liquore è caratteristico di Okinawa ed è un particolare tipo di awamori 泡盛あわもり, un famoso alcolico proprio della zona della prefettura delle isole Ryūkyū.

Il processo di preparazione dell’alcolico può avvenire in due modi diversi: alcune aziende inseriscono il serpente vivo nella bottiglia e riempiendo la stessa di alcol. Quindi la bottiglia viene sigillata e il povero serpente muore per annegamento. Altra modalità, degna dei peggiori film horror, consiste nel indurre allo svenimento la vipera immergendola nel ghiaccio, quindi eviscerarla, dissanguarla e ricucirla. Al risveglio il serpente muore in breve termine con un espressione intensa e aggressiva, cosa che rimane anche dopo la sua dipartita e colpirà l’acquirente dell’habushu. Questo secondo processo rende il liquore anche più delicato e dal sapore e odore meno sgradevole.

Infine si crede che questa bevanda possa essere un ottimo rimedio per la disfunzione sessuale dell’uomo. Infatti questa vipera ha la capacità di avere rapporti sessuali per ben 26 ore consecutive e secondo la superstizione si pensa che questo possa passare all’uomo che beve il liquore.

Il costo di tutto questo? Dai 90 ai 250 euro a bottiglia…

Fugu フグ

Il fugu è un piatto tipico della cucina giapponese e tristemente famoso in tutto il mondo per la sua pericolosità. Il fugu è il nome del pesce palla in giapponese, noto per l’altissima tossicità del su veleno mortale del quale non esiste antidoto. Il potente veleno paralizza i muscoli del malcapitato mentre la vittima rimane pienamente cosciente morendo lentamente di asfissia.

Le prime preparazioni di fugu risalgono al periodo Jomon, più di tre mila anni fa, e continua ancora oggi benchè se ne bandì la vendita per alcuni periodi dell’era Tokugawa e Meiji.

La preparazione del pesce è meticolosa e necessita di anni di studio. Solo un ristoratore con la necessaria certificazione può servire il fugu alla clientela. Il certificato prende il nome di fugu chorishi menkyo e viene rilasciato unicamente dopo un esame teorico e pratico.
Oggi la sua consumazione è abbastanza sicura, non si riportano infatti decessi da almeno 20 anni, ma prima degli anni ’80 si riteneva che mangiare il pesce palla equivalesse quasi a una roulette russa.

I coraggiosi commensali sono ripagati da un gusto prelibato, carni delicatissime e dal sapore unico. La sua consistenza varierà in modo significativo a seconda di come viene servito. Consumato crudo come sashimi, è leggermente gommoso, un po’ come un calamaro che è rimasto sul fuoco qualche secondo di troppo. Leggermente cotto si trasforma invece in carne delicata e dalla consistenza morbida.

Oggi esiste perfino un museo a lui dedicato nella città di Ōsaka e sappiate che una porzione di sashimi di fugu costa 120 euro circa.

Hachinoko 蜂の子

Il pesce è certamente uno dei protagonisti indiscussi della cucina giapponese, ma il Giappone non è costituito solo da zone costiere ma anche da vaste zone di montagna lontane dal mare. Questo ha portato alla nascita in alcune prefetture come Gigu o Nagano di un’antica tradizione culinaria basata sia su prodotti della terra e di origine animale che, per i più poveri, di insetti.

Il termine hachinoko はち significa letteralmente “piccolo di ape”, ovvero la larva dell’insetto in italiano chiamata “pupa” e fa parte dei tsukudani, quei cibi cotti con salsa di soia e zucchero.

Nei periodi di magra o durante le guerre, i meno abbienti potevano così sostentarsi e riuscire a superare stenti e difficoltà quotidiane. Le larve sono infatti ricche di vitamina B e offrono un’importante apporto di grassi e proteine. Con l’occidentalizzazione del Giappone e una maggiore ricchezza sociale, cibi come l’hachinoko sono andati nel dimenticatoio ma ancora oggi è possibile gustarli attraverso piccole realtà che li producono e vendono in tutto il Giappone.
Le larve sono tradizionalmente cucinate con salsa di soia, zucchero e sake, risultando in uno snack croccante da gustare accompagnato da te o birra. Alternativamente possono essere serviti con riso in piatti chiamati hachinoko gohan e hebo gohemochi.

Esiste finanche un festival, il Kushihara Hebo Matsuri, che si tiene ogni anno a Ena nella prefettura di Gifu, dove i maggiori agricoltori si sfidano a chi ne produce di più.

Il gusto è dolce e dalla consistenza friabile e il costo per una confezione di 100 grammi si aggira intorno ai 20 euro.

Inago no tsukudani いなごの佃煮

L’inago no tsukudani いなごの佃煮つくだに è un piatto giapponese a base di cavallette di riso bollite in salsa di soia e zucchero. La preparazione è molto simile a quella dell’hachinoko. Inago è il termine giapponese che in italiano significa “locusta”.
Le cavallette sono preparate nello stile di cottura tsukudani, bollite in salsa di soia, mirin e zucchero. Questo piatto è tradizionale nelle regioni interne e montane del Giappone, tra cui Nagano e Fukushima, dove un tempo costituiva un importante integratore alimentare.

Le locuste sono state da sempre un nemico naturale delle colture per i contadini, rovinando o mangiando interi raccolti. I giapponesi pensarono allora di mangiarle dato che, come molti insetti, sono ricche di proteine e forniscono un ottimo apporto energetico.

La preparazione è semplice, ma prima di essere cucinate, le locuste vengono messe in un contenitore senza cibo per una notte, in modo da non farle mangiare ma rimuovere le feci dai loro corpi. Quindi vengono aggiunte all’acqua bollente, scolate e cotte in una padella calda senza olio e mescolate per eliminare ogni traccia di acqua dal corpo. Infine si aggiunge dell’olio e si saltano in padella per renderle croccanti.

Il costo di uno spuntino a base di cavallette di 100 grammi si aggira intorno ai 7 euro.

Zazamushi ざざ虫

La mancanza di sbocchi sul mare ha portato la gente di Nagano a sperimentare il gusto dello zazamushi ざざむし, letteralmente “insetti sotto la corrente lenta”.
Si tratta di larve di coleotteri della dimensione di circa 2 cm di lunghezza. Vivono sotto le pietre nel basso fondo del fiume e vengono catturate trammite una rete in inverno, grazie al flusso dell’acqua minore e alla bassa temperatura. Una volta pescate, le larve vengono lavate con acqua tiepida e cotte a fiamma alta con la tecnica dello tsukudani, ovvero salsa di soia e zucchero.

Questa tradizione affonda le sue radici in epoca Edo, ma a causa del recente inquinamento e dello sfruttamento delle acque fluviali, il numero di larve è fortemente diminuito. Esiste infatti un gruppo nato negli ultimi anni che si impegna al mantenimento delle acque salubri e alla ripopolazione dei fiumi.

Generalmente si vendono in barattoli di vetro e il prezzo si aggira sui 10 euro per 20/30 grammi.

Kuchikamizake 口噛み酒

Dopo aver assaggiato particolarità nipponiche come zazamushi, hachinoko o shirako, è tempo di bere qualcosa di forte. Magari per dimenticare. Ecco che se l’habusu non è stato sufficiente, la carta dei vini propone il Kuchikamizake.

Il termine significa letteralmente “sake masticato in bocca” e si riferisce ad uno dei primi alcolici della storia del Giappone. Si tratta di sake fermentato attraverso la saliva umana che arriva ad una gradazione alcolica di circa 7 gradi.

Il kuchikamizake si presenta con un colore biancastro e acidulo al sapore. Per la sua preparazione il riso cotto viene masticato, quindi il liquido risultante viene sputato in un contenitore . Questa preparazione si lascia poi macerare per diversi giorni, durante i quali gli enzimi della saliva scompongono l’ amido del riso in glucosio, che poi fermenta sotto l’azione dei lieviti contenuti nell’aria ambiente per dare alcol.

La bevanda era anticamente utilizzata in alcune cerimonie shintoiste come O-Miki お神酒みき, una bevanda sacra facente parte dei cibi consacrati, i shinsen 神饌しんせん. Nel caso del suo consumo presso un santuario, la prima fase preparazione del kuchikamizake iniziava con la masticazione di una miko, una giovane sacerdotessa vergine.

Curiosamente fa parte di un importante momento della trama del film d’animazione Kimi no na wa (Your name) ; dove il protagonista alla disperata ricerca di Mitsuha, ricorda un rito shintoista di offerta del kuchikamizake che lei aveva sperimentat, quindi trova il santuario dove è riposto il sacro sakè e lo beve.

Hirezake ひれ酒

Il termine hirezake ひれざけ è composto da due parti, sake che indica ovviamente l’alcolico giapponese e hire che significa “pinna”. Si tratta di un modo di consumare il sake aromatizzandolo con la pinna del pesce.

La preparazione prevede che la pinna venga dapprima essiccata, quindi grigliata stando attenti a non bruciarla e posta sul fondo del bicchiere. Viene così versato del sake caldo nel bicchiere premurandosi di coprirlo subito dopo. Quest’ultimo passaggio serve a concentrare l’aroma del pesce. Si procede poi a mescolare la bevanda che prende un colore ambrato. Talvolta si da fuoco velocemente alla parte superficiale del sake, un flambè veloce prima di consumarlo.
Generalmente la pinna è di pesce fugu (tanto per usare un pesce comune e non velenoso…) o di pagro del pacifico.

Il costo di un bicchierino in un ristorante è di circa 8 euro.

Suppon nabe スッポン鍋

Tra gli animali che è possibile degustare in Giappone abbiamo anche il suppon, ovvero una particolare razza di tartaruga d’acqua dolce dal carapace morbido, la Pelodiscus sinensis, della famiglia dei tronichidi. È l’unica specie di tartaruga che viene mangiata nel Sole Levante, a differenza di altre parti dell’estremo oriente. Il suppon nabe スッポンなべ è infatti una sorta di zuppa, un nabemono 鍋物なべもの, a base di questo rettile.

Si ritiene che fornisca energia a chi la consuma, soprattutto virilità, a causa della natura forte dell’animale.
Come diremmo noi con il maiale, “del suppon non si butta niente”: Il suo collo viene tagliato quando è ancora vivo e il sangue viene raccolto in una tazza e poi mescolato con il sakè. Fegato e viscere si mangiano crude. Il suo corpo, dalla testa alla coda, si taglia a pezzi e si bolle con le verdure.

La sua carne ha una consistenza morbida e un sapore semplice come quello del pollo. La pelle del suppon è un po’ spessa ma tenera e ricca di collagene. Inolte poichè si ritiene renda la pelle più elastica e luminosa, è mangiata da molte donne giapponesi.

Il suppon, vivendo nelle risaie, è comune nel territorio giapponese. Esistono infatti vari modi di dire che lo vedono protagonista; ad esempio si dice “È come un suppon”, in riferimento a una persona fastidiosa. L’espressione nasce perchè si dice che una volta morsa la preda, non lasci più la presa.

Il prezzo di una cena a base di suppon non è tra le più economiche, circa 60 euro.

Fonti:
Wikipedia
giappogourmet
sushipoint.it
matadornetwork.com
onthegas.org
atlasobscura.com
zojirushi.com
fondazioneslowfood.com
medium.com