I burakumin: la casta degli intoccabili

Quando si pensa al Giappone è facile farsi trasportare dalla bellezza dei paesaggi naturalistici, antiche tradizioni, profumi di matsuri e silenzi zen, cerimoniose arti che sorreggono una società tanto forte e unita quanto fragile e collettivamente individualista. La commistione di tradizione e modernità è uno dei punti di forza del Giappone di oggi, che porta dal suo passato tante luci ma anche ombre ben celate. Tra queste troviamo i burakumin, la “casta degli intoccabili”, gli emarginati del Giappone.

In Giappone penso sia errato dire che esistano delle caste nell’accezione occidentale del termine. La stessa antropologa Chie Nakane riteneva la società giapponese come una grande “classe media”, ricca di micro stratificazioni ma facente parte di un principale strato economico ben definito. La distinzione sociale giapponese oggi non va ricercata in fattori economici o religiosi (come accade in India), bensì affonda le radici nel riflesso di un antica e rigida struttura sociale apparentemente scomparsa e dui cui abbiamo parlato in questo articolo.

Le origini dei Burakumin

Il termine burakumin 部落民ぶらくみん significa letteralmente “abitanti del villaggio” o meglio del “ghetto”. Questo termine è stato coniato per identificare i fuori casta, i senmin 賎民せんみん, ovvero coloro che non rientravano nella rigida suddivisione della società del periodo Edo, lo shinōkōshō 士農工商しのうこうしょう. La parola Burakumin è però più recente e raggruppa due gruppi di paria: gli Hinin にん e gli Eta , entrambi accumunati da disprezzo e pregiudizi.

L’origine della descriminazione sono diverse e variate nel tempo, ma possono sintetizzarsi in due principali concetti: il kegare ed il sen.

Kegare けがれ sta ad indicare l’impuro, lo sporco, il disonore, la disgrazia ed è collegato ai concetti di sporcizia, sangue, morte e cadaveri. Questo termine si inserisce in un contesto religioso-morale fondamentale nel Giappone arcaico dove gli antichi rituali shintoisti ricercavano la purezza e rigettavano ogni elemento che avesse una qualunque connessione con la morte.

Kegare e sen

Sen せん significa “basso”, “meschino”, “povero” ed è un concetto di origine straniera, importato dalla Cina Tang, anche se il Giappone non era nuovo alla distinzione di classe già dal periodo Yayoi (dal 400-300 a.C. al 250-300 d.C).

Questi due termini sono legati indissolubilmente tra loro; colui che era impuro diventava inveitabilmente di un livello inferiore, lo sporco era simbolo di povertà, il sangue di morte. Così tutti coloro che si macchiavano di “disgrazia” venivano ricusati dalla società. Da questo si formano le classi di Eta e hinin e condividono l’impurita dei crimini commessi, gli Hinin, o del lavoro svolto, gli Eta.

Gli Hinin

Il termine Hinin 非人 significa letteralmente “non umano“. Fù usato per la prima volta ben prima del periodo Edo, bensì in epoca Nara (710 – 784) per designare chi complottava contro l’imperatore. Con il tempo il suo significato inglobò i criminali in generale e in epoche successive il termine si usò per indicare un’ampia classe sociale.
A seconda della regione e della zona del Giappone potevano infatti comprendere Inujinin 犬神人いぬじにん (collaboratori nei templi), guardiani delle tombe, kawaramono (descriminati in generale), ex-prigionieri o ex-detenuti, kojiki 乞食こじき (mendicanti), prostitute yūjo 遊女ゆうじょ, ecc..

Vi erano due categorie di hinin:

  • I nohinin 野非人のひにん: sono paragonabili ai senza tetto di oggi, ovvero cittadini diventati indigenti che non potevano pagare le tasse per svariate motivazioni o per malattie. Spesso vivevano sotto i ponti o lungo i fiumi.
  • I kakae-hinin 抱非人かかえひにん: comprendeva sia chi commetteva reato, così punito con l’hinin teka 非人手下, sia chi era hinin per discendenza.

Il loro stato non era propriamente ereditario dato che lo diventava solo chi commetteva reati o chi lavorava in contesti “inpuri”. Un hinin però tramandava il suo stato al figlio. L’hinin poteva però essere adottato da una famiglia di classe superiore ed essere riabilitato.

Tra i soprannomi che venivano dati agli hinin c’era “quattro” yotsu, come le dita degli animali, per sottolineare la loro natura non umana. Questo accomunarli al mondo animale veniva sottolineato dal modo in cui venivano contati, con hiki ひき, contatore usato appunto per gli animali.

Gli Eta

Il termine eta 穢多 significa letteralmente “tanta impurità” e indicava tutti coloro che facevano un lavoro considerato impuro, quindi vicino al concetto di kegare. Lo erano i conciatori che usavano le pelli di animali nei loro prodotti, i boia, i macellai, i becchini, gli spazzini, ma anche i lebbrosi, ecc..

La loro “macchia” di impurità era ereditaria e a differenza degli hinin non vi era modo di essere integrati nelle caste sociali. Per questo erano anche chiamati ad esempio konotsu, “nove” in giapponese, proprio ad indicare che erano esseri incompleti, non dieci.

Discriminazioni e “privilegi”

La discrimazione che accumunava hinin ed eta riguardava ogni ambito della loro vita; non potevano vestire con abiti in seta, indossare copricapi, calzare geta, cingere la vita con l’obi o ancora erano vietati l’ohaguro e l’hikimayu alle donne.
Vivevano in villaggi dedicati, i buraku, nelle periferie delle città e subirono il culmine dell’ostracismo nel periodo Tokugawa. In questo periodo dovettero finanche utilizzare dei collari, vesti di colori prestabiliti o di lanterne nelle ore notturne che li rendesse facilmente identificabili e evitabili. Non potevano entrare nella città dall’alba al tramonto, intrattenersi in conversazioni con i ryōmin, i cittadini, ed era uso che loro si inginocchiassero e cedessero la strada alla gente comune. Tutto doveva sottolineare il loro stato di diversi, segregati e sen, inferiori. Inoltre erano iscritti in un registro, i koseki 戸籍こせき, che ufficializzava la loro condizione.

Si pensi inoltre che la loro uccisione costava una semplice reprimenda e non era considerato delitto.

Al contempo riuscirono paradossalmente ad evere dei privilegi come il monopolio di alcune occupazioni, l’autonomia nelle loro comunità con un capo, il danzaemon 弾左衛門だんざえもん, e la possibilità di usare e coltivare delle terre senza dover pagare dei tributi.

Eta a hinin ricadevano quindi all’interno dei burakumin perchè classe ghettizzata fuori-casta, ma non erano accomunati tra loro. Tra le due classi spesso vi erano frizioni e poca collaborazione. Molto studiosi ritengono inoltre che gli eta venissero considerati superiori rispetto gli hinin anche grazie alla loro utilità sociale.

Molti possibilmente si staranno chiedendo come sia possibile che l’avvento e diffusione del buddismo, religione illuminata spiritualmente e pregna di giustizia sociale, non abbia mai cambiato la condizione di questi intoccabili. Il buddismo però seguiva anche la dottrina della concatenazione causale che giustificava la condizione dei burakumin come pena per delle colpe nelle vite passate. Inoltre la caccia e l’uccisione di animali era severamente condannata dalla dottrina buddista, una discrimante in più verso certe professioni.

La fine della divisione in caste

A seguito della fine del periodo Edo la società giapponese subì profondi cambiamenti, il Giappone si aprì all’occidente e iniziò la restaurazione Meiji.

Nel 1868 vengono abolite le caste e si sancì l’uguaglianza legale di tutti i cittadini. Le vecchie caste del mibun (o shinōkōshō) vennero semplificate. I cortigiani ed i signori feudali furono nominati nobili, kazoku, i samurai diventarono parte della piccola nobiltà, shizoku o soldati. sotsuzoku, mentre gli appartenenti alle altre classi rientrarono tra i comuni cittadini, heimin.

Sotto le pressioni di un occidente indignato, il 28 agosto 1871 il Consiglio di Stato, il daijōkan 太政官だいじょうかん, promulgò un editto che abolì l’uso dei termini Eta e Hinin, il kaihōrei 解放令かいほうれい. Così passarono da hinin ed eta a heimin o meglio shinheimin 新平民しんへいみん, letteralmente nuovi cittadini. In qualche modo così il marchio continuò ad esistere anche se nascosto da un velo ufficiale di democrazia e raggiunto progresso sociale. È proprio questo il momento in cui nasce il termine comune burakumin, abitanti del villaggio/ghetto.

Uno dei problemi principali fù un’emancipazione che partì dall’alto, non figlia di movimenti sociali o politici interni, ma dalla necessità di mostrare un cambiamento rispetto alla nuova politica decisa dal governo Meiji. I concetti di kegare e sen erano ancora ben radicati nella società.

Il post riforma

La riforma sociale era parte di un ampio complesso di restaurazione che comprendeva cambiamenti in ambito politico ma soprattutto economico. Un esempio fu l’abolizione del sistema feudale e il ricalcolo delle tasse da versare non più in base al raccolto, ma sul valore del terreno. Quest’ultimo fattore mise in crisi tanti contadini e gli stessi “nuovi cittadini” che videro cancellati quei pochi privilegi che permetteva loro di non pagare tributi, il monopolio su alcuni lavori o avere gratuitamente un piccolo lembo di terra nelle buraku. Molti burakumin furono costretti infatti a vendere le proprie terre diventando affittuari.

Inoltre questo cambiamento “indotto” si tradusse in rivolte contro gli shinheimin. Nel 1873 ben 26 mila persone scesero in piazza ad Okayama per protestare contro gli “insolenti” e “impudenti” che a par loro ostentavano la loro nuova condizione. In tutto il Giappone avvennero sommosse ed eventi spesso dai finali tragici. Non a caso nacquero termini come etaseibatsu, spedizioni contro gli eta o etagari, caccia agli eta.

La condizione dei burakumin nel post Tokugawa divenne pardossalmente incerta, complicata, povera e indeterminata. Se prima erano inferiori ma sapevano come comportarsi e vivere, dopo erano sì equiparati legalmente agli himin, ma oggetto di discriminazione e violenza senza la protezione garantito dal ghetto. Una doppia condizione che gravò pesantemente sulle loro spalle; liberi in un paese che non li accettava e nulla faceva per accompagnare la loro emancipazione, che non fu certo spinta da ideali di democrazia.

Le lotte del ‘900

Superate le difficoltà legate ad un emancipazione “caduta dal cielo” di fine ‘800, il nuovo secolo vide la comunità burakumin cominciare a muovere i suoi passi per la lotta dei propri diritti.

Un esempio di cambiamento fu il romanzo Hakai di Shimazaki Toson che ebbe gran successo all’epoca in Giappone che aveva come protagonista un Eta o ancora la nascita di organizzazioni a scopo filantropico.

Nel 1922 sorse un movimento dove 2000 Burakumin sotoscrissero un documento dagli ideali filo-cristiani ma con elementi di compassione buddista. La vicinanza però con la frangia di sinistra e i conflitti mondiali rese i suoi partecipanti dei clandestini.

Nel secondo dopoguerra nacque la Lega per la liberazione dei Burakumin (部落解放同盟 Buraku kaihō dōmei) e il suo presidente fù persino eletto senatore del partito socialista. In seguito il partito cambiò nome e in generale si continuò a lottare per un cambiamento di una società che continuava a discrimare le minoranze.

Lega per la liberazione dei Burakumin

I Burakumin erano il gruppo discriminto più numeroso, costituivano circa 3 milioni di persone, ma a loro si aggiungevano altre minoranze come quelle Ainu, i coreani o gli okinawani.
La loro vita da esclusi è testimoniata anche da Fosco Maraini che ben descrive nei suoi libri il Giappone degli anni cinquanta e sessanata, un Giappone di grandi cambiamenti portati degli americani in una società ancora ferita e rigida.

Uno dei maggiori problemi furono gli antichi registri con i nominativi dei shinheimin. Questi vennero cancellati e distrutti ufficialmente, ma in realtà continuarono ad esistere come “registri ombra” ed essere consultati dalle grandi aziende al momento di assumere o avere rapporti con parter lavorativi.

I burakumin oggi

Il governo giapponese sta lentamente muovendo dei passi in avanti verso la protezione delle minoranze. Si pensi alla protezione della cultura Ainu recente, con nuove norme che continuano ad aggiornarsi fino al 2019.

Gli ultimi 50 anni non sono stati esenti da continui scandali legati alle liste ombra o descriminazioni più o meno velate verso i burakumin, ma il fatto che vengano portati alla luce e se ne parli è già un grande passo di sensibilizzazione sociale.

La loro condizione spesso borderline ha inoltre favorito la loro deriva nel mondo della criminalità. Secondo Mitsuhiro Suganuma, ex membro dell’agenzia per la pubblica sicurezza giapponese, il 60% dei membri Yakuza sono di origine burakumin.

Il Giappone riesce a conquistare grazie alla sua storia, una forza dirompente tra tradizione e modernità che sa ammaliare e quasi confondere il suo osservatore. Dietro alle luci delle insegne luminose delle grandi città si celano però anche quelle di realtà buie, ben celate e dolorose. Realtà lontane dai riflettori dei media e che nessuno ha piacere di ascoltare. Uno dei prezzi pagati da una società così profondamente legata al gruppo sociale è anche quello dei burakumin. Gruppo che oggi sta lentamente prendendo forma, ma che per lunghi anni è stato trasparente ai più, visibile solo al momento di scansarlo.

Il fattore oggi maggiormente evidente rispetto al cambiamento della restaurazione Meiji, è la presa di coscienza della comunità burakumin e la lotta in prima persona al pregiudizio che dopo gli anni 60 sta finalmente dando i suoi frutti. Non più decisioni prese del governo con un gruppo sociale che subisce passivo il cambiamento, ma una comunità che lotta attivamente per i propri diritti.

Fonti
silviocalzolari.org
thoughtco.com
italiawiki.com
jstor.org
japanese-wiki-corpus.org