Gli hitobashira 人柱: gli “uomini-pilone” giapponesi (e non solo)

Tra le antiche pratiche giapponesi, l’hitobashira è certamente tra le più controverse, oggi poco conosciuta anche tra i giapponesi, come caduta nel dimenticatoio.

Quest’antica pratica consisteva nel sacrificio di esseri uomani, seppelliti vivi in occasione della costruzione di importanti opere architettoniche.

Ma com’è nata questa usanza?

L’origine

L’origine della pratica è riconducibile all’intero estremo oriente, infatti era comune sia in Cina che in Birmania o Indonesia. Questa, come tante altri usi, fu importata in Giappone nei secoli e diventò diffusa in tutto il Sol Levante.

L’origine cinese

Secondo la leggenda cinese l’hitobashira, o il da sheng zhuang, fu proposto da Lu Ban (507 – 440 a.C), ingegnere, filosofo, inventore, statista, architetto, stratega (c’era qualcosa che non sapeva fare?!) in occasione di grandi costruzioni. Secondo del fengshui, arte divinatoria taoista affine all’architettura, spostare grandi masse di terreno poteva infatti alterare l’equilibrio energetico del terreno circostante e far infuriare gli spiriti della zona causando problemi e incidenti durante la costruzione.

Si sono comunque trovati resti nella provincia di Henan della Cina di neonati usati nelle fondamenta di un’antica città risalente al 1500 a.C. Quest’usanza potrebbe quindi essere ben più antica, e solo successivamente assorbita dalla filosofia fengshui.

Con la modernizzazione dell’intera Asia questa pratica cambiò, sostituituendo il sacrificio umano con quello di “fortunati” gallinacei..

A Hong Kong sembra fosse comune fino agli inizi del ‘900 rimproverare i bambini disobbedienti dicendo loro che sarebbe stati seppelliti secondo il da sheng zhuang se non si comportavano bene! Una sorta di “arriva l’uomo nero”..

In Giappone

La pratica dell’Hitobashira 人柱ひとばしら, letteralmente “uomo pilone” è stata importato dalla Cina in un periodo imprecisato. Sappiamo però con certezza che se ne fa cenno già nel Nihonshoki, il secondo libro più antico del Giappone datato 720 d.C.
Nel sacro testo si narra che a seguito della disastrosa esondazione dei fiumi Mamuta-kawa e Kita-kawa che il popolo del tempo difficilmente riuscì a controllare. Allora l’imperatore Nintoku (IV secolo d.C.) ebbe una rivelazione: sacrificando nel fiume due persone agli dei, un tale Kowabuki della provincia di Musashi e Koromono-ko della provincia di Kawachi, si sarebbero potuti costruire in sicurezza gli argini del fiume. Il povero Kowabuki fu sacrificato ma Koromono-ko prima di essere seppellito, volle testare gli dei del fiume; prese due zucche, le lanciò nel fiume e invitò le divinità a farle affondare. Quello sarebbe stato segno del loro volere e solo in quel caso avrebbe avrebbe accettato il sacrificio. Le due zucche però non affondarono e così ebbe salva la vita.

La pratica dell’hitobashira in Giappone è stata spesso legata alla costruzione di strutture in relazione con l’acqua, come ad esempio i ponti. Più in generale stupisce il forte legeame acqua-sacrificio umano che si trova in tutta la mitologia giapponese. Sia nel Nihonshoki che nel Kojiki o in opere successive, sovente si narrano vicende di estremi sacrifici legati all’acqua; talvolta il sacrificio in mare, altre l’uccisione di un serpente in un fiume, ecc..

Il sacrificio

L’hitobashira è una pratica che prevedeva che una persona venisse sacrificata seppellendola viva nel terreno o all’interno di una cassa. Questa veniva posta alla base della struttura, di un pilone, nella montagna o ai margini del fiume. Talvolta il prescelto veniva semplicemente affogato in acqua.

Anticamente i disastri naturali o umani colpivano spesso gli edifici costruiti, causando numerose vittime. Il sacrificio di una sola persona veniva giustificato dal fine, quello di placare gli dei e risparmiare la futura struttura ed eventuali vittime. Le strutture giapponesi erano principalmente fatte di legno, resistevano così meglio ai terremoti ma al contempo erano soggette facilmente a incendi che come sappiamo hanno spesso nei secoli funestato il Giappone.

È interessante notare che il secondo ideogramma di “hitobashira”, 柱, si utilizza anche come contatore per lapidi commemorative e dei. Quest’ultima associazione è ricollegabile a credo shintoista, e le sue credenze a questa usanza. Nello shintoismo esistono innumerevoli divinità, presenti in ogni elemento della realtà e il sacrificio di una persona legherebbe il suo spirito alla costruzione stessa, elevandola a un mondo sacro.

In generale i sacrifici erano preceduti da un rituale e spesso veniva eretto un cenatofio vicino l’opera dove si pregava e si davano offerte in ricordo del sacrificio fatto dalla persona.

Casi famosi

Vediamo di seguito alcune costruzioni legate alla pratica dell’hitobashira. Di molte non si ha la certezza, ma le storie vivono nella memoria comune giapponese come leggende orali tramandate di generazione in generazione.

Ponte Matsue Ohashi

Il ponte Matsue Ohashi si trova a Matsue, nella prefettura di Shimane, nel sud-ovest del Giappone. Secondo la leggenda la sua costruzione risale al 1608 e fu sin da subito tormentata da problemi. Il fondale del fiume era infatti poco stabile e anche se si erano gettate migliaia di pietre per consolidarlo, i piloni continuavano ad affondare nel terreno. All’ennesimo cedimento strutturale si decise che era necessaria la pratica dell’hitobashira per placare gli spiriti del fiume. In particolare sarebbe stato scelto il primo passante che indossava l’hakama.
Secondo la leggenda la sorte toccò ad un uomo di nome Gensuke che venne così seppellito vivo sotto il pilone centrale del ponte. Quest’ultimo resistette per trecento anni senza più problemi, fino alla costruzione di un nuovo ponte più moderno nel 1891.
Ancora oggi è possibile trovare un memoriale dedicato a Gensuke.

Questa leggenda permeava le credenze popolari a tal punto che dopo la costruzione del nuovo ponte nessuna voleva attraversarlo per paura di essere scelto come nuovo hitobashira!

Il castello di Maruoka

Nella provincia di Sakai, nella prefettura di Fukui, si trova il castello di Maruoka che si dice sia stato costruito nel 1576 con la pratica dell’hitobashira.

Secondo l’antica leggenda “O-shizu, Hitobashira”, Shibata Katsutoyo, nipote di Shibata Katsutoyo generale di Oda Nobunaga, decise di far costruire un castello su di una collina a nord di Fukui. Al momento della costruzione delle mura del castello, queste però continuavano a cadere ed essere instabili. Si ritenne dunque che solo un sacrificio umano poteva dare loro forza e assicurarne la costruzione.
La scelta della persona da sacrificare ricadde su O-shizu, una povera donna con solo un occhio, madre di due figli. La donna acconsentì al sacrificio ponendo però una chiara condizione: uno dei suoi due figli sarebbe dovuto diventare un samurai.
O-shizu venne così seppellira sotto il pilone centrale e il castello fu eretto senza problemi. Katsutoyo venne però trasferito in un’altra regione e il figlio della povera donna non venne più instradato nell’onorevole via del Samurai. Ne seguì che le ire dello spirito della donna colpivano le acque del fossato del castello che straripavano continuamente per le forti pioggie ad ogni primavera. La gente chiamò questo fenomeno come “la pioggia delle lacrime di dolore di O-shizu” e le venne poi eretta una tomba per placarne il risentimento.

In tempi più recenti si è scoperto che la causa dei crolli era da attribuire al metodo di posa irregolare delle pietre del muro. Questo venne costruito con antiche tecniche usate in antiche fortificazioni precedenti alla sua data di costruzione che peccavano di instabilità.

Miyoshi no Saru Dote

Nella zona dell’odierna Yonago, nella provincia di Tottori, si narra la leggenda di un famoso hitobashira.

La storia racconta di continue esondazioni del fiume che attraversa Yonago che non riuscivano ad essere contenute rovinando i campi di riso della zona.
Allora si pensò di praticare il sacrificio di un uomo per calmare gli spiriti del fiume, ispirandosi a quanto fatto al vicino castello di Yonago dove fu necessario l’hitobashira per assicrarne la costruzione.

Ma come scegliere il “fortunato”? la tecnica del primo che passa rimase la più gettonata. Così la mattina del giorno dopo la decisione, si attese il passaggio di qualcuno davanti il fiume. Quella mattina passò un sarumawashi con la sua scimmia, intrattentori che viveano sia di spettacoli in cui la loro scimmia ballava che di predizioni divinatorie.
Il povero sarumawashi e la sua scimmia furono così presi e sotterrati vivi e ancora oggi l’argine del fiume è chiamato “saru-doteさる土手どて, letteralmente argine scimmia.

Conclusione

Come sempre suggerisco al lettore di non giudicare questa pratica figlia di antiche credenze, ma di cercare di capirne l’origine. Inoltre attraverso l’hitobashira si denota come il gesto del sacrificio sia parte integrante della cultura del Giappone, dove spesso la vita è uno strumento di scambio per qualcosa di maggior valore. Basti pensare al seppuku dove al prezzo della vita si otteneva l’onore o si esprimeva la fedeltà verso il proprio signore.

Fonti:
Wikipedia
yokai.com
uncannyjapan
city.yonago