La Rengō Sekigun: L’armata rossa unita del Giappone

L’articolo di oggi nasce in relazione alla notizie di qualche giorno fa in merito alla scarcerazione dell’attivista di estrema sinistra Shigenobu Fusako, co-fondatrice dell’Armata Rossa giapponese, macchiatasi di crimini di terrorismo in Giappone e nel mondo.

Shigenobu Fusako

Quando si pensa alla politica giapponese odierna e alle sue correnti interne si immagina una condizione generale abbastanza stabile, soprattutto priva di forti scosse o di un dibattito politico particolarmente intenso. La politica giapponese recente ci ha abituato a vedere al potere il partito liberal democratico (Jimintō 自民党) dalla fine degli anni ’60 ad oggi quasi senza interruzione. Questa stabilità è figlia di diversi fattori sociali, ma quel che sorprende oggi è il forte disinteresse dei giapponesi per la politica, in particolar modo dei giovani.

Il Giappone però non è sempre stato così apatico vero il nondo della stanza dei bottoni, e gli anni ’60 e ’70 furono al contrario un periodo di intenso fervore politico, in particolare proprio dei giovani, liberi finalmente di espirmersi e organizzarsi in movimenti dopo gli anni dell’imperialismo pre bellico.

Ma tra le forme di protesta e gli innumerevoli movimenti politici nati nel Giappone di quegli anni, si ricorda ancora oggi l’Armata rossa e Shigenobu. Il guppo scelse la lotta armata e il terrorismo per portare avanti idee e progetti di rivoluzione che avrebbero dovuto cambiare il corso della storia, ma che invero stravolsero solo la vita delle vittime dei loro attentati.

Ma per comprendere come si arrivò a queste scelte estreme, bisogna fare un passo indietro e conoscere la nascita del movimento di sinistra radicale del Giappone, in qualche modo paragonabile alle Brigate Rosse nostrane.

Una ritrovata libertà?

La sconfitta del Giappone imperialista della seconda guerra mondiale portò a una seconda rivoluzione sociale (la prima era avvenuta con la Restaurazione Meiji) che stravolse nuovamente i giapponesi. Politica, classi sociali, idealismi, e certezze di un popolo cambiarono, lasciando un forte senso di inadeguatezza e instabilità nell’animo di buona parte del popolo. A tal proposito lo scrittore Osamu Dazai ben spiega la decadenza e l’incertezza di una parte della società del tempo. In caso Recuperate almeno l’articolo relativo su Kuyomi.

Si dice però che dopo ogni tempesta arrivi il sereno e così anche la situazione del Giappone post-bellico si ristabilizzò. Sotto la guida iniziale del generale MacArthur, il Giappone fu instradato verso un orizzonte democratico, scevro di imperialismi, fanatismi, origine divina dell’imperatore e senza un esercito che possa prender parte a conflitti armati (ancora oggi).

La firma della resa del Giappone

Il Giappone degli anni anni ’50 vide lo sviluppo delle sue infrastrutture interne in molteplici ambiti. Tra questi, ritengo fondamentale quello dell’istruzione, non più ad appannaggio della sola classe elitaria, ma accessibile anche dal ceto medio e non solo.

La rinascita del Giappone passò attravero la crescita economica e intellettuale, rimanendo però sotto l’indiretto “controllo” dell’occidente e dei suoi valori capitalistici. La crescente formazione di un popolo più colto e indipendente si tradusse nella nascita di innumerevoli movimenti studenteschi, con giovani vogliosi di cambiare il Giappone e far sentire la propria voce. Proprio nel 1948 nacque il Zengakuren 緩叙法ぜんがくけん, Federazione dell’autogoverno studentesco, che negli anni fu protagonista di numerose proteste; da quella contro la gestione delle basi su suolo nipponico, a quella contro la guerra in Corea.

Manifestazione dello Zengakuren

Il cambiamento

Il sistema occidentale che aveva portato a tanta libertà divenne paradossalmente proprio il cappio intorno al collo di coloro che perseguivano ideali comunisti, in un paese che era (ed è) chiaramente schierato con l’occidente durante gli anni della guerra fredda.

Gli scontri tra le fazioni più estremiste e la polizia si fecero sempre più frequenti, famosa fu quella del 22 giugno del 1966 contro la costruzione dell’aeroporto di Narita, quasi sempre con protagonisti fazioni di estrema sinistra.

E proprio la sinistra giapponese, tanto in ascesa negli anni ’50 e ’60, si vide costretta a scegliere una via più democratica e allontanare le frange radicali propense alla rivoluzione ad ogni costo. Oramai la società giapponese la ricollegava infatti ai disordini, alle continue dimostrazioni e ai recenti scontri.

La nascita dell’armata Rossa

È il 1969 quando in un incontro della Lega comunista, nata da una costola dello Zengakuren, avvenne la scissione tra moderati e radicali. Il contrasto nacque proprio in merito ai metodi da utilizzare per il futuro della sinistra. Il gruppo dell’est del Giappone era disponibile a dialogare e a cercare un compromesso, mentre la frangia ovest di Osaka e Kyoto era più incline alla rivoluzione rossa ad ogni costo, anche mediante le armi.

Il gruppo si scinse e naque la Sekigun-ha 緩叙法, la Fazione dell’Armata Rossa con a capo Shiomi Takaya.
Gli anni che seguirono la sua nascita furono costellati di scontri con la polizia e persino un tentato assalto alla residenza del Primo Ministro Sato. La polizia giapponese si era organizzata già da qualche tempo, con le squadre kidotai 機動隊きどたい, per combattere gli scontri e prevenire sommosse.
Negli anni successivi furono così arrestati lo stesso Shiomi e il suo vice, che dalla prigione cercarono di mantenere le redini di un organizzazione diventata clandestina. Cominciarono intanto le attvità criminose, con rapine e robberie varie al fine di acquistare le materie prime per futuri attentati, anche andando contro il volere dello stesso Shiomi, contrario a rapinare le persone comuni. Gesti che il leader considerava antirivoluzionari.

Il dirottamento Yodo-go

Il primo attentato dell’armata è conosciuto in Giappone come “Yodo-go haijack jiken “よどハイジャックけん, in riferimento alla tratta aerea Tokyo-Fukuoka, detta “yodogo”.

Le vicende che riguardano quest’attentato necessiterebbero un articolo a sè stante. Intendo comunque accennarli come vicenda cardine nella storia del Giappone recente e dell’Armata Rossa.

Il dirottamento dell’aereo avvenne il 31 marzo 1970, con l’obiettivo di dare eco mediatico al movimento radicale.
Il gruppo dei dirottatori obbligarono l’aereo a puntare alla Corea del Nord portando con se 129 ostaggi tra passeggeri, piloti e membri dell’equipaggio. Il dirottamento dello Yodo-go fu il primo nella storia del Giappone e la sua storia è ricordata ancora oggi.
La vicenda vide un mix di minacce a base di katane e bombe, atterraggio in Corea del Sud, scambio di passeggeri con l’allora ministro dei trasporti Yamamura Shinjiro, atterraggio finale in Core del Nord e scomparsa di parte dei criminali. Sceneggiatura degna di una pellicola hollywoodiana.

Spostamenti dell’aereo durante il dirottamento

Il polverone alzato dalla vicenda portò a conoscenza del mondo intero l’armata, al contempo vide la comparsa di Tamiya Takamaro, uno dei dirotattori che nel mentre aveva preso le redini dell’organizzazione dopo l’incarcerazione di Shiomi. Buona parte dei criminali infatti rimasero bloccati in Corea del Nord sotto la “rieducazione” di quel di Pyongyang. Alcuni sembra che siano poi morti mentre altri vivono ancora lì da quel poco che è trapelato.

Tamiya Takamaro non era soltanto il capo dell’armata, ma anche il compagno di una giovane terrorista: Shigenobu Fusako. Ma di lei parleremo in un’altra occasione.

L’Armata Rossa Unita

Il movimento rimase però senza una guida stabile e sotto la costante pressione del controllo della polizia giapponese. La condizione lo portò a unirsi a un altro gruppo estremo con a capo Nagata Hiroko per formare l’Armata Rossa Unita 連合れんごう赤軍せきぐん sotto la guida di Mori Tsuneo. È il 1971 e il gruppo conta 29 uomini. In meno di un anno sarebbero diventati appena 14.

Morte per disfattismo

La diminuizione del numero dei membri non fu però dovuta a morti accidentali durante scontri o dalla cattura della polizia. Quello alla quale sarebbero andati incontro alcuni di loro fu scioccante e barbaro.

Il termine poi usato dallo stesso leader fu “Haiboku-shi” 敗北死はいぼくし, morte per disfattismo. Questo si riferisce alle conseguenze del durissimo addestramento al quale si sottoposero i membri del gruppo nascosto tra le montagne di Gunma.
I leader dell Armata Rossa incoraggiarono i loro membri a seguire l’ “autocritica“, ma non quella pratica con l’accezione odrerna dove si giudica da sè il proprio operato, ma quella di stampo marxista-leninista. I membri dovevano criticare se stessi e il proprio operato in gruppo al fine di comprendere se fossero realmente dei rivoluzionari. Il risultato fu un’epurazione, con sessioni che si trasformarono in veri linciaggi.

La polizia che trovò poi il nascondiglio montano, si trovò difronte a corpi legati a pali all’aperto, esposti alle gelide intemperie e alcuni corpi picchiati a morte. Tra il 31 dicembre e il 12 febbraio furono uccisi ben 12 membri, solo due erano riusciti a suggire, poi catturati dalle forze dell’ordine giapponesi.

Le forze speciali insieme con la polizia riuscirono ad assaltare il nascondiglio e catturare lo stesso Mori Tsuneo, Nagata e buona parte del gruppo. L’Armata Rossa non era però ancora battuta. Riuscirono infatti a fuggire da quel nascondiglio 5 membri armati di fucili e mitragliatrici, rifugiandosi in un vicino edificio per villeggiare, dando origine al famoso “incidente Asama-Sansō”.

L’incidente Asama-Sansō

Asama Sanso
La struttura dell’Asama Sanso

L’Asama Sansō, letteralmente “rifugio/villa montana Asama” era una struttura a tre piani in muratura e legno che si trovava vicino Karuizawa, nella prefettura di Nagano. Il termine “Asama” si riferiva all’omonimo monte della zona.

I cinque fuggitivi dell’armata erano Kunio Bandō (25), Masakuni Yoshino (23), Hiroshi Sakaguchi (25) Jirō Katō (19) e suo fratello Saburō Katō (16). Tutti tra i 16 e i 25 anni.
Arrivati all’edificio il 19 febbraio 1972, presero in ostaggio Yasuko Muta, moglie del custode della struttura, in quel momento casualmente vuota eccetto la donna.

I cinque terroristi si barricarono all’ultimo piano, leggermente più grande degli altri, facilitati dalla struttura labirintica dell’edificio. Utilizzarono ogni cosa possibile per coprire finestre e porte, in attesa di un piano di fuga.
Erano da soli, armati fino ai denti contro centinaia di poliziotti ma con un ostaggio tra le mani. Una lotta che sarebbe durata per ben dieci giorni.

Per le prime 72 ore la polizia circondò la struttura attendendo invano una resa dei cinque. Proseguì quindi interrompendo l’erogazione dell’energia elettrica dell’edificio e ponendo degli altoparlanti dai quali i genitori dei giovani terroristi imploravano i figli di arrendersi. Fu tutto vano.

Gli ultimi giorni

Il 25 febbraio le unità speciali della polizia prepararono una gru con la palla da demolizione vicino l’Asama Sansō e si prepararono all’assalto.
I giorni seguenti bombardarono di pietre l’edificio giorno e notte in modo da tenere svegli i cinque terroristi e indurli alla resa, ma neanche gli ultimatum del 27 febbraio ebbero esito positivo.

La mattina del 28 cominciò l’assalto della polizia. La palla demolitrice distrusse un muro dell’edificio e la polizia potè conquistare i primi due piani. La resistenza dei cinque fu però strenua e arrivare a superare le barricate da loro poste non fu semplice. Negli scontri morirono due poliziotti e 15 rimasero feriti. Morì anche un civile che si era infiltrato di nascosto colpito da una pallottola.

Solo con il calare della sera dopo ben 280 ore di assedio la polizia riuscì a catturare prima Kunio Bandō e poi il resto dei delinquenti, salvando anche la donna incolume.

Le conseguenze

Le ultime 10 ore furono seguite dall’intero Giappone con una maratona televisiva senza precedenti fatta dell’emittente nazionale, l’NHK. La diretta raggiunse l’89% di ascolti e le vicende scossero profondamente il paese.

L’Armata Rossa nè uscì distrutta, senza più leader, spinta rivoluzionaria e senza neanche il minimo appoggio dell’estrema sinistra giapponese.

Arresto di Nagata

Nagata, Mori e Sakaguchi furono tutti condannati a morte. Mori si suicidò in cella appena un anno dopo, Nagata morì nel 2011 di tumore al cervello e Sakaguchi è ancora oggi in attesa di esecuzione. Yoshino fu condannato all’ergastolo e ancora oggi è in carcere. Bando Kunio fu poi soggetto di scambio nel 1975 con l’armata Rossa nell’attentato in Kuala Lumpur, in Malesia, ma questa è titt’altra incredibile storia.

Nel 2008 l’incidente di Asama Sansō fu finanche raccontato in occidente con un docufilm, intitolato “United Red Army” e diretto da Kōji Wakamatsu.

L’Armata Rossa Unita e la sua spinta di rivoluzione rossa si esaurirono in Giappone, lasciando una scia di orrore nella società disinteresse dei più giovani nella politica. Un’apatia che il Giappone vive ancora oggi.
Stessa cosa però non si può dire dell’armata rossa e di Shigenobu Fusako all’estero, protagoniste di eventi che scossero il mondo intero. Ma anche questa è un’altra storia…

Fonti:
Wikipedia
npa.go.jp
unseenjapan.com
military-history.fandom.com