Miyuki Ishikawa: l’ostetrica demone (oni-sanba)

Tra i più famosi serial killer della storia spesso si annovera anche Miyuki Ishikawa, un’ostetrica giapponese che lasciò morire più di cento neonati tra il 1943 e il 1948. Ripercorriamo la storia di questa tragica vicenda che scosse profondamente la società nipponica e che affonda parzialmente le sue radici nell’antica pratica del mabiki.

Miyuki Ishikawa: la donna

Miyuki Ishikawa nacque nel villaggio di Honjō nella Prefettura di Miyazaki il 5 febbraio del 1897. Nel 1914 si trasferì a Tōkyō, dove si laureò in ostetricia all’Università Imperiale il 30 settembre 1919. In quello stesso anno sposò Takeshi Ishikawa, un ex sergente e ufficiale di polizia della Kenpeitai di tre anni più anziano di lei. Il marito non avendo un lavoro regolare, assistette l’ostetrica nel suo lavoro.

Miyuki non poteva avere figli, subì infatti un’isterectomia da giovane. La coppia crebbe il figlio nato dal precedente matrimonio di Takeshi e ne adottò ben tre (due maschi e una femmina).

Inoltre fu un’ostetrica esperta e gestì una casa di maternità chiamata Kotobuki San’in (寿産院 / 壽產院), ricoprendo importanti incarichi in diverse associazioni di ostetriche, almeno fino al sua arresto.

Oni-sanma: il demone ostetrica

Il Giappone dell’immediato dopoguerra fu un paese in ginocchio sotto ogni punto di vista; gli americani occupavano il territorio influenzando de facto le scelte politiche interne, l’economia era al collasso e la società era demotivata e confusa. Il popolo giapponese con la guerra perse anche la figura dell’imperatore ed il suo legame diretto con il divino. Quasi cento anni di propaganda politica si sgretolarono in poco tempo.

In questo contesto le difficoltà per le famiglie di portare avanti una gravidanza e crescere un figlio erano considerevoli, ancor più in una società ancora tradizionale dove il metodo contraccettivo era (e in parte ancora adesso) inutilizzato.

Nella seconda metà degli anni’40 la clinica Kotobuki San’in vide arrivare numerosissimi casi di gestanti meno abbienti, in particolare di bambini concepiti fuori dal matrimonio. L’Ishikawa cercò si rivolse a vari enti di assistenza per chiedere aiuto per le famiglie più disagiate, ma questi si rifiutarono di assistere le madri. Anche la strada dell’affido era complessa e inutile in quel periodo storico di stenti.

Kotobuki San’in

L’ostetrica optò per l’unica scelta secondo lei percorribile: liberarsi dei neonati. Il realtà il termine serial killer stride con le vicende, il contesto e le modalità perpetrate dalla Ishikawa. I neonati non venivano mai uccisi direttamente, ma morivano per negligenza, trascurati e lasciati senza cibo.

Questa pratica ingiustificabile e sicuramente atroce, aveva però in Giappone un pregresso che prende il nome di mabiki. Una pratica che era sì in disuso nella società nipponica da almeno una 50ina di anni, ma che per vari secoli era stata perpetrata in varie zone del Sol Levante.

Il soprannome della donna, oni-sanba おにさん (ostetrica demone) non nacque tanto in riferimento agli omicidi, ma alla freddezza mostrata dall’Ishikawa e al fatto che trasformò la pratica in business; Per il suo “intervento” richiedeva dai 3000 ai 5000 yen alle povere famiglie o alle donne disperate. La giustificazione? L’alto rischio da lei corso e il costo esiguo se paragonato alle spese che avrebbero dovuto affrontare per crescere il bambino.

L’arresto

Nel periodo che va dal 1943 al 1948 si stima che l’ostetrica lasciò morire più di cento bambini con l’aiuto del marito e di un medico che falsificava i certificati di morte. I crimini della donna furono scoperti solo casualmente quando due poliziotti trovarono i resti di cinque bambini che a seguito di autopsia risultarono morti per denutrizione e circostanze inusuali.
A seguito dell’arresto la polizia trovò nella clinica alcuni neonati in condizioni critiche, ma purtroppo due di loro persero la vita perché oramai troppo denutriti.
Durante il processo l’ostetrica non si prese mai la piena responsabilità delle colpe, seguendo una linea difensiva che scaricava invece ai genitori ogni responsabilità, rei di aver richiesto di porre fine alla vita dei propri stessi figli.
Questa tesi fu vincente e nel 1948 l’Ishikawa fu condannata in primo luogo ad otto anni di carcere ed il marito a quattro. L’accusa non fu infatti di omicidio ma di “crimini di omissione”. La coppia fece appello e riuscì finanche a dimezzarla. Per la legge e parte dell’opinione pubblica i colpevoli erano i genitori, non la donna.

Poco si conosce della vita della Ishikawa a seguito della condanna. Secondo un’intervista fattale nel 1969, gestiva un ufficio immobiliare a Tokyo e il marito era già venuto a mancare da tempo.

La legge sull’aborto

Il clamore mediatico che portò questo caso scosse profondamente la società giapponese, con molti che si schierarono proprio dalla parte di Miyako sollevandola da buona parte delle risponsabilità e incolpando i genitori. Proprio questi fatti evidenziarono però un’importante problematica della società nipponica: l’aumento demografico e la pratica dell’aborto.

Tra il 1940 e il 1945 la popolazione giapponese crebbe di ben 11 milioni e con lei il numero di persone a rischio fame e povertà. Nel 1948 il Giapponese fu uno dei primi paese al mondo a promulgare la legge che regolamentava l’interruzione di gravidanza. Nel 1949 e nel 1952 vi furono più revisioni dove si regolamentava la pratica nei casi di estrema sofferenza fisica o economica della madre.

Oggi in Giappone l’aborto è consentito fino alla ventunesima settimana dall’ultima mestruazione e solo con intervento chirurgico, la pillola abortiva non è ancora stata approvata. Inoltre i costi non sono quasi mai a carico del sistema sanitario nazionale e aumentano con il procedere dello stato di gravidanza: si aggira tra i 100.000 e i 200.000 yen (tra gli 800 e i 1500 euro).

Un vero demone?

Durante il personale processo di ricerca ed informazione che ha accompagnato la scrittura di questo approfondimento, mi sono imbattuto in numerosi articoli che hanno unicamente additato impietosamente questa donna in modo molto semplicistico.
Lungi da me giustificare l’ostetrica, ma ritengo interessante capirne le dinamiche che l’hanno portata a compiere determinate scelte.

Miyuki Ishikawa è oggi ricordata come un demone e un’omicida senza scrupoli. Una donna che tradì sia la sua missione da ostetrica che il suo essere donna. È bene anche ricordare che crebbe un figlio non suo e adottò anche tre bambini insieme al marito. Questo dettaglio ci offre una lettura alternativa dul profilo della donna; da un lato quella di killer e persona degenere che ha lucrato sulla sofferenza altrui e sulla vita di neonati, dall’altro quello di una madre per scelta.
Inoltre non uccise mai direttamente il neonato e non fu mai mossa da rabbia, invidia o sadico piacere come spesso accade ad un serial killer. Inoltre contattatò anche varie associazioni e si attivò inizialmente per cercare una soluzione e dare un’alternativa a questi bambini. Allora come potè arrivare a scegliere la morte come soluzione?
La concezione del senso di moralità è relativa a cultura e civiltà di un popolo e proprio in Giappone l’infanticidio in casi di necessità (mabiki) fu comune fino alla fine del XVIII secolo ed ancora perpetrato sino a inizi del 1900. Paradossalmente era proprio la scelta più morale. (per i dettagli vi invito a leggere il realtivo articolo).

Analizzando la vicenda nel suo insieme mi permetto così di offrire una possibile lettura alternativa; quella di una donna che, dopo aver contattato lottato per un’alternativa , decide in extrema ratio di attingere da un’antico e ricorre in un contesto di disperazione sociale.
A controprova di questa lettura è un dato di fatto che una grande fetta della società giapponese la tacciò solo di aver lucrato e non di essere un’assassina.

La terribile vicenda ci racconta un altro triste spaccato di un Giappone travolto dal conflitto mondiale e ci ricorda come la guerra continui a fare vittime anche trasversalmente, ad armi deposte.

Fonti:
Wikipedia
internazionale.it
viaggiatoriignoranti.it
allthatsinteresting.com