Il teatro giapponese: il Kabuki 歌舞伎

Tra le forme di teatro classiche del Giappone il kabuki è quella che meglio esprime la vivacità, la sfrontatezza e l’ardore dell’arte giapponese. Questo teatro è figlio del teatro Nō, colto e ricercato in contrasto con il kabuki, anticonformista e popolare.

Il kabuki nasce nel XVII secolo, almeno due secoli dopo il teatro classico Nō, e raggiunse la sua massima diffusione durante il periodo Edo, in particolare nel XVIII secolo.
La sua storia ed evoluzione nel tempo è costellata di cambiamenti e sviluppi che ben rispecchiano i cambiamenti sociali del Giappone. Essendo infatti strettamente legato al popolo, il kabuki era specchio della vita quotidiana, delle sue difficoltà e malcontenti, ma al contempo delle mode e della vita lussuriosa che vi girava intorno.

Nel 2005 l’UNESCO ha inserito questa affascinante forma d’arte tra i beni immateriali dell’umanità.

L’origine del nome

Il termine usato per Kabuki 歌舞伎かぶき è formato da tre ideogrammi che significano letteralmente “canto” 歌, “danza” 舞 e “arte”伎. Potrebbe così essere tradotto come l’arte del danzare e del canto. Kabuki è un ateji, ovvero una parola con ideogrammi scelti arbitrariamente per scrivere un prestito linguistico. Infatti Il termine si pensa derivi però dal verbo kabuku che si può tradurre come “essere strano” o “fuori dal comune”. Agli inizi del 1600 il verbo significava principalmente “inclinare” o “pendere”, ma cominciò ad essere associato a comportamenti che deviano dalla norma. Questo molto possibilmente in realazione all’aspetto stravagante e all’atteggiamento dissoluto e lezioso nelle danze kabuki.

La nascita del kabuki 1603–1629

Storicamente l’inizio del teatro kabuki si ricollega alla figura di Izumo no Okuni, una miko (sacerdotessa scintoista) del santuario Izumo Taisha, il più antico del Giappone, che nel 1603 cominciò a esibirsi con una troupe femminile a Kyoto, nel letto del sacro fiume Kamo.

Izumo no Okuni e le sue danze divennero pian piano popolari in tutto il Giappone; vivaci, intensi e lussuriosi, si contrapponevano ai lenti e cerimoniosi spettacoli del Nō. A breve non mancarono altri gruppi che copiarono il cosiddetto “Okuni Kabuki” sfruttandone la grande popolarità e il favore del popolo.

Questo è il periodo dell’Onna Kabuki, letteralmente il kabuki delle donne, che continuò fino al 1629, quando lo shogun del tempo, Tokugawa Iemitsu, lo bandì. Il divieto fù promulgato poichè considerato vizioso e dagli effetti deleteri sulla morale pubblica. Inoltre l’onna kabuki non era solo considerato degenere ma anche licenzioso, non di rado le danzatrici guadagnavano del denaro extra prostituendosi.

Gli spettacoli divennero comuni in molto quartieri a luci rosse del Giappone, radunando in platea folle di diverse classi sociali, evento alquanto unico nel rigido Giappone feudale.
I teatri diventavano il luogo dove si mischiavano i ricchi ma socialmente inferiori mercanti con samurai e cittadini. Divenne così occasione per mostrare le proprie ricchezze, dar sfoggio di nuove mode e far parlare di sè.

Le rappresentazioni ereano accompagnate da un nuovo stile di danze e musiche per la tradizione giapponese, dall’uso dello shamisen, uno strumento a corda giapponese, e dalla narrazione della quotidianità giapponese.

Il kabuki dei wakashū

Per un breve periodo il divieto imposta dallo shogun portò un primo cambiamento nel kabuki; a prendere il posto delle donne furono i wakashū, giovani uomini, generalmente adolescenti che potevano intrattenersi sia con donne che con uomini. Per approfondire la figuara di quello che talvolta viene considerato come “il terzo sesso” del Giappone, vi rimando all’articolo dedicato.
I wakashū erano però oggetto del desiderio al pari delle donne e questo portò in breve anche la loro estromissione dai ruoli attoriali nel teatro kabuki.

Yarō kabuki 1629-1673

Una prima fase di transizione verso il Kabuki “moderno” avviene a seguito del divieto imposto alle donne e ai wakashū, portando alla nascita del yarō kabuki, composto da soli uomini. Nasce così la figura dell’onnagata 女形おんながた, ovvero l’uomo che interpreta ruoli femminili. L’onnagata era generalmente un adolescente di bella presenza che grazie al suo tono di voce e i suoi lineamenti androgini poteva interpretare sia le parti di una donna che quelle del wakashū.

Anche lo spettacolo del kabuki andò cambiando in questo periodo, diminuì la danza a favore di una maggiore recitazione. Questo però non cambiò l’impronta leggera e viziosa del kabuki.
Infatti il problema legato alla prostituzione non si risolse e molti attori continuarono a prostutirsi sia per clienti di sesso maschile che femminile.

Il Wagoto 和事

In questo periodo Sakata Tōjūrō I è attore pioniere dello stile del wagoto ごと , letteralmente “stile armonico”. Il wagoto kabuki enfatizza i gesti naturali e armonici, non usa un particolare trucco in volto se non il semplice oshiroi, privilegia un tono di voce dolce e narra di personaggi dai tratti romantici spesso in pena d’amore.

Il risultato fu un divieto totale per onnagata, wakashū e donne che però ebbe vita breve dato che venne revocato nel 1652.

Il periodo d’oro: genroku kabuki 1673 – 1868

I duecento anni che seguirono videro la massima fioritura dell’arte teatrale del Kabuki, formalizzandone spettacoli, elementi del palcoscenico, opere e caratteristiche attoriali che diventarono peculiarità uniche di questo teatro.

L’arte kabuki crebbe in popolarità insieme a quella del bunraku 文楽ぶんらく, o jōruri, il teatro delle marionette, influenzandosi l’un l’altro e spesso scambiandosi le opere.

L’aragoto 荒事

Questo è il periodo in cui nasce lo stile aragoto 荒事あらごと, abbreviazione di “aramusha goto”, letteralmente “stile del guerriero temerario”. Questo stile si caratterizza dall’uso del kumadori, il dipingersi il volto e dalla nascita del mie, la posa dell’attore. Il pioniere che creò questo stile unico è Ichikawa Danjurō I, dando inizio a una lunga tradizione nello stile portata avanti dai suoi discendenti sino ad oggi.
Questo stile si contrappone a quello gentile chiamato wagoto 和事.

Il kumadori

Il termine kumadori 隈取くまどり, indica il truccarsi il viso con strisce colorate e brillanti o pattern particolari. Lo stile nacque con Ichikawa Danjūrō che tracciò delle rinee rosse sul viso per interpretare Sakata no Kintoki nell’opera Shitennō Ochigodachi, creando così le basi per questo stile. I colori usati nel kumadori sono il rosso, il blu, il marrone e il nero, quest’ultimo usato per marcare i lineamenti ed esagerare “la maschera” del personaggio e si contano circa 50 pattern diversi.

I colori e i pattern non sono causali ma sono associati a precisi significati o ruoli e prendono nomi specifici; il più famoso è forse il Sugi-Guma 筋隈すぎぐま, con le strisce rosse che rappresentano la forza e la rabbia del personaggio come in Kamakura Gongoro.

Il mie

Il termine mie え, indica una posa fatta dall’attore durante l’aragoto kabuki. Nasce con l’obiettivo di mostrare il massimo picco emozionale del personaggio in un determinato momento della rappresentazione. Durante la posa l’attore apre gli occhi il più possibile o li incrocia se vuole indicare rabbia o agitazione.

Nel tempo sono nate diverse pose famose e tra le più famosi c’è la genroku mie sempre del personaggio Kamakura Gongoro.

La massima diffusione del teatro kabuki si ebbe nel XVIII secolo a discapito del classico e poco accessibile teatro Nō. Solo nel’800 ebbe una flessione di popolarità in favore del bunraku, ma seppe rinascere dalle sue ceneri tra la fine del secolo e l’inizio del novecento.

Saruwaka-chō kabuki : 1842–1868:

Il termine “rinascere dalle sue ceneri” non è usato casualmente, infatti tra il 1842 e il 1868 molti teatri kabuki andarono letteralmente in fumo, o meglio a fuoco, a causa di un lungo periodo di siccità nell’antica Edo, funestata da violenti incendi.
Bisogna sempre ricordare che a differenza dell’occidente dove le strutture degli edifici erano in muratura, in Giappone si favoriva sempre l’uso del legno.

Inoltre il governo approfittò di questo per cercare di isolare e allontanare questa forma anticonvenzionale di teatro dal cuore dell’antica Tokyo. Lo shōgun vietò la ricostruzione degli storici teatri ad Edo, forzando a decentralizzarli ad Asakusa, lontano dal cuore pulsante della città.

Gli storici teatri di Nakamura-za, Ichimura-za and Kawarazaki-za vennero così ricostruiti in periferia, in un quartiere che prese il nome di Saruwaka-chō. Il kabuki di questo periodo visse di alti e bassi, famoso per alcuni eccessi in opere stravaganti ma dal declino accennato in precedenza.

La restaurazione Meiji 1868 – oggi

I cambiamenti del Giappone post restaurazione si rifletterono anche sul kabuki. Le opere teatrali e gli attori si sforzarono di adattarsi all’influenza straniera riadattando stili tradizionali ai cambiamento del tempo.

Il kabuki riuscì a superare anche le difficoltà dell’occupazione americana post seconda guerra mondiale, proibito fino al 1947.

Come araba fenice il kabuki rinacque più volte, con nuovi stili e reinterpretandosi continuamente. Oggi è parte integrante della cultura giapponese, con rappresentazioini in tutto il Giappone, citazioni in libri e finanche negli anime.

Negli anni ’80 nasce anche il Super Kabuki, talvolta criticato dagli stessi giapponesi, con rappresentazioni che mischiano passato e presente e che recentemente ha visto mettere in scena anche Naruto o One piece!

Il teatro kabuki ha ispirato nei secoli pittori e scrittori in tutto il mondo (come lo stesso Monet) ed esiste persino una troupe kabuki in Australia, la Za Kabuki, che organizza rappresentazioni dal 1976.

Il palcoscenico

Anche il palcoscenico del teatro kabuki ha subito diversi cambiamenti nei secoli ed è stato soprattutto promotore di diverse innovazioni.

La sua struttura ha alcuni elementi presi dal teatro Nō, ma offre un esperienza completamente diversa. Ad esempio la passerella, chiamata hanamichi 花道, che nel teatro Nō simboleggia un collegamento tra due mondi sacri, nel kabuki attraversa lo spazio dedicato agli spettatori, immergendoli negli eventi narrati.

Tra le grandi innvoazioni sperimentate nel kabuki gia dal XVIII secolo ci sono il mawari butai, il movimento circolare del palcoscenico, il chūnori, gli attori “volanti” fatti oscillare con dei cavi, il seri, botole dalle quali gli attori potevano apparire e sparire.

A differenza del teatro Nō, il kabuki ha una tenda dipinta a strisce nero, rosso e verde che nasconde il palco prima dello spettacolo.

Le opere

Le opere erano soggette a forte censura dallo shogunato nel periodo Tokugawa, con il divieto di mettere in scena vicende contemporanee. Gli autori kabuki spesso dovettero ricorrere a stratagemmi, ad esempio rappresentare antichi eventi come metafora per quelli del tempo.

Le opere spesso duravano (e talvolta ancora adesso) l’intera giornata come era comune anche nel Noh e nel bunraku.
Il kabuki segue comunque una divisione in cinque atti che come da tradizione segue un adamento preciso: inizio lento degli eventi nel primo atto, narrazione drammatica e intensa nei tre atti a seguire ed infine una chiusura breve nell’ultimo.

A differenza comunque del bunraku e ovviamente del Nō, il tono delle opere kabuki è tendenzialmente più leggero e emoristico con sempre un forte focus sull’attore più che sulla trama.

Le rappresentazioni del kabuki sono divisibili in tre generi principali:

Jidaimono: opere storiche generalmente del perioro pre-Sengoku (prima del 1400) nelle quali si narravano le gesta dei samurai e degli eventi delle guerre Genperi o del periodo Nanboku-chō.

Sewamono: opere che si focalizzano sui cittadini comuni e i contadini, in particolare sullo shinjū 心中, il doppio suicidio degli innamorati per amori impossibili e ostracizzati per svariati motivi. Questo genere deriva dal bunraku.

Bunraku

Shosagoto: opere dedicate principalmente alla danza dove non sempre sono presenti dialoghi.

Gli attori

Come accennato in precedenza il Kabuki era oggetto di censure e generalmente ostracizzato dallo shogunato, così anche gli attori avevo delle limitazioni attoriali come quella di non poter vestire come samurai, come la ricca nobiltà o usare tessuti preziosi. Questo è uno dei motivi che portarono alla nascita di costumi unici e talvolta esaggerati che paradossalmente facevano tendenza.

Caratteristiche dei costumi degli attori sono le parruche, le katsura, dedicate ad ogni ruolo e in generale l’uso di costumi estremamente appariscenti.

L’attore ha un nome diverso da quello di nascita e durante la sua carriera ne arriva a cambiare diversi. Questo nome è strettamente legato a quello del ruolo che interpreta e al suo precedessore, tramandato sia dalla tradizione familiare o dal proprio maestro.

I ruoi della donna rimangono ancora oggi legati ad attori maschi, gli onnagata, ma non perchè sia ancora vigente l’antico divieto, decaduto nel 1888, ma forse perchè il teatro è stato partorito da una donna ma le sue opere “cresciute” e “cucite” da uomini.

Conclusione

Se conoscere il teatro Nō significa immergersi nelle tradizioni del Giappone sacro e cerimonioso, approfondire il kabuki è affacciarsi all’estro anticonformista dell’animo giapponese; quel Giappone più leggero e mutevole, che cerca di adattarsi ai cambiamenti sociali, portando comunque avanti la tradizione dell’arte. Un’altra faccia del poliedrico mondo dell’arte giapponese.

Fonti:
Wikipedia
jstor
straitstimes
japan-forward