Tra gli strumenti a fiato giapponesi, lo shakuhachi 尺八 è il più noto e oggi il più suonato sia in ambiti tradizionali, spesso legati al mondo del buddismo zen, che in contesti folk e moderni. Lo strumento rientra nella famiglia dei flauti, in giapponese fue 笛.
Lo strumento odierno è il prodotto di diversi secoli di isolamento del Giappone e deriva dal flauto fuke shakuhachi del XVI secolo. Un primo flauto era invero già stato importato dalla Cina nel VII secolo, il kodai shakuhachi, ma scomparve a fine periodo Heian ed oggi ne rimangono pochissimi esemplari dei quali non si conoscono neanche le scale o il metodo con il quale si suonavano.
L’origine del termine shakuhachi ci racconta delle antiche unità di misura utilizzate in Giappone al tempo degli Shogun. Il termine “shaku” indica infatti un’arcaica misura di lunghezza che corrisponde a circa 30.3 cm, mentre “hachi” (letteralmente “otto”) si riferisce a una sottomisura, in questo caso “otto sun” dove ogni sun 寸 è approssimativamente 3 cm. Il nome dello strumento rappresenta quindi la sua misura standard di 54,5 cm secondo il nostro sistema metrico decimale.
Ne esistono diverse misure oltre a quella più comune che da il nome allo strumento stesso e all’aumentare della sua lunghezza cambiano intonazione e accordatura. In generale uno shakuhachi più corto emette note più acute, mentre uno di lunghezza maggiore potrà emettere note più gravi. Lo shakuhachi standard è in tonalità di re e ha un’estensione di circa due ottave. L’abilità nel suonare lo shakuhachi non risiede solo nella tecnica di respirazione e nella manualità con cui diteggiare i fori del flauto, ma anche nell’inclinazione e nella posizione della bocca. I suonatori più esperti riescono a raggiungere finanche una terza ottava grazie a tecniche particolari.
Il flauto è una sezione di bambù sapientemente lavorata. Ha un diametro esterno di 4 cm con 4 fori nella parte superiore ed uno in quella inferiore. La costruzione dello strumento è complessa e richieda la scelta della canna da bambu più adatta e una particolare lavorazione del bocchino. Quest’ultimo può essere lavorato anche per un anno attraverso una pasta particolare (ji 地) al fine di ottenere la perfetta intonazione per ogni nota. Il costo dello strumento può così arrivare anche a 15 mila euro, ma per chi volesse cimentarsi nello studio dello shakuhachi è possibile acquistarne in PVC o semplice legno per un centinaio di euro.
Questo strumento è inoltre legato al mondo dei komusō 虚無僧, letteralmente “monaci del nulla”, monaci-mendicanti appartenenti alla setta fuke del buddismo zen sviluppatasi nel periodo Edo. Questi portano un particolare copricapo in vimini chiamato “tengai” e praticavano il suizen 吹禅, la meditazione praticata suonando lo shakuhachi. Quest’ultima si contrapponeva con il comune zazen 座禅 praticato invece da seduti e nell’immobilità.
Oggi lo shakuhachi è forse il più internazionali nel panorama degli strumenti tradizionali giapponesi. Oltre alla musica tradizionale, honkyoku e sankyoku, è possibile ascoltarlo sia in composizione moderne post Meiji, le shinkyoku, che in contaminazioni musicali e in brani di compositori occidentali. Tra i tanti lo hanno utilizzato Carlo Forlivesi, Jhon Palmer o Karl Jenkins.
Inoltre i più attenti lo ricorderanno in tante colonne sonore del mondo del cinema: Jurassic Park, Karate Kid II e III, Braveheart e tante altri!
Altri strumenti a fiato famosi sono lo shinobue 篠笛 (flauto traverso), il ryūteki 龍笛 (flauto traverso), l’hotchiku 法竹, ecc..