Tutti noi conosciamo il Giappone e buona parte dei suoi sport tradizionali che lo hanno reso famoso nel mondo; si pensi alle arti marziali come il judo, il karate, il kendo, il kyūdō, il sumo e tante altri. Molti però non sanno che in Giappone era anticamente praticato un antesisgnano del calcio moderno: il kemari.
Premetto col dire che il legame tra calcio e kemari non è diretto, ma possibilmente sono in qualche “cognati”, prendendo in prestito un termine nella sua accenzione usata in linguistica. Il calcio moderno sappiamo bene che è nato in Inghilterra, ma ben prima della sua “invenzione” ,in varie parti del mondo in diversi momenti della storia, sono esistiti giochi dove si calciava il pallone.
In Italia abbiamo avuto (e abbiamo ancora) l’antico calcio storico fiorentino, e ancor prima i romani giocavano l’harpatum, importato dal violento Episkyros di origine greca. Ma anche in Estremo Oriente era esistito un gioco dove si calciava un pallone, questo era il Cuju, dal quale non solo deriva il concetto di “goal” del calcio moderno come affermato dalla stessta FIFA, ma derivano anche alcuni sport asiatici, tra cui il kemari giapponese.
L’origine
Il Kemari è uno degli sport che divenne popolare durante il periodo Heian (794-1185). È un gioco in cui i partecipanti si passano con i piedi una palla fatta di pelle di cervo senza farla cadere a terra. Le sue semplice regole sono derivate dal cuju cinese, anche se semplificate.
Il Cuju 蹴鞠
La storia del Kemari giapponese si ricollega al Cuju, chiamato anche Tsu Chu, del quale si ha certezza fosse praticato sin da circa il 300 a.C. Benchè vi siano testimonianze di un gioco con la palla finanche due milleni prima di Cristo, la sicurezza del Cuju l’abbiamo solo durante il III secolo a.C. quando era parte dell’addestramento delle truppe come descritto nello Shiji, un resoconto storiografico sotto il regno Wu (140 – 87 a.C).
Il Cuju prese ufficialmente questo nome durante la dinastia Han (206 aC— 220 dC) ed era giocato con palle erano fatte di pelle animale e riempite di pelliccia o capelli.
Il gioco ebbe successo e passo nei secoli dal semplice addestramento militare per il mantenimento della forma a gioco di corte praticato nel palazzo imperiale. Consisteva in due squadre da 12/16 giocatori che dovevano calciare il pallone tra due pali senza utilizzare mai le braccia all’interno di un campo da gioco rettangolare. Le porte erano più piccole di quelle del calcio moderno, ce n’erano sei ai due estremi del campo. Regole e dinamiche delle sport cambiarono durante la sua lunga storia, ma sappiamo che per molti imperatori divenne quasi un ossessione. Il Cuju poteva essere praticato sia da donne che da uomini e durante la dinastia Song (dal 960 al 1279 d.C.) apparvero finanche club con giocatori professionisti con tanto di campionati nazionali e partite giocate diavanti migliaia di spettatori.
Il Cuju si estinse durante la dinastia Ming (1368-1644), associato alla vita dissoluta che vi girava intorno che inoltre distraeva gli ufficiali del tempo. Ma questo gioco non scomparì del tutto, infatti rimase in vita in Giappone con il nome di Kemari.
Il Kemari
Gli ideogrammi utilizzati per il termine kemari 蹴鞠 sono i medesimi di quelli cinesi usati per il cuju e significano letteralmente “calciare una sfera“.
Il gioco del kemari era però diverso. Se in Cina il Cuju ebba una struttura complessa e ben regolamentata da regole e finanche campionati, in Giappone se ne importò una versione semplificata intorno al periodo Asuka (550 – 700 d.C.) insieme col buddismo.
Regole
Il Kemari non è un gioco competitivo, ma cooperativo. Veniva giocato all’interno di un campo delimitato agli angoli da alberi chiamati motoki. Il campo si chiamava kakari o maritsubo ed era di circa 5,5 metri quadrati. Una squadra poteva essere composta da quattro, sei o otto persone e la palla, la mari,fatta in pelle di cervo, aveva un diametro di circa 22 cm. Questa doveva essere tenuta in aria passandosela senza farla cadere. Un buon giocatore di kemari, chiamato mariashi, deve aver un ottimo controllo di palla e passare la palla non mettendo in difficoltà il compagno.
Un’alternativa al gioco erala partita individuale dove vinceva chi palleggiava per più tempo senza farla cadere. Il vestitu indossato dai giocatori era il karinigu, un abito tradizionale del periodo Asuka.
Il kemari si diffuse tra aristocratici, nobili di corte, samurai, shogun e finanche tra gli imperatori.
Esiste finanche un’opera Nō chiamata “mari” che tratta la morte di un mariashi la cui vedova impazzaita di dolore gli prepara un “kemari funebre”.
Il kemari oggi
Il periodo Meiji e la conseguente apertura del paese alle novità d’occidente portò indirettamente anche calcio moderno in Giappone. In alcune parti delle città risiedevano gli stranieri che si dilettavano con il gioco del calcio in zone residenziali. Curiosamente i giapponesi che videro questo nuovo gioco lo soprannominarono shūkyū o semplicemente il kemari dello straniero.
A differenza del Cuju oramai scomparso, il kemari è stato totalmente rimpiazzato da altri sport ma continua a esistere ancora oggi in Giappone, trovando il suo spazio in occasione di particolari festival; ad esempio ogni 4 gennaio si tiene il primo kemari del nuovo anno al santuario di Kamomioya.
Conclusione
Il katamari non può forse essere considerato un diretto discendente del calcio occidentale, ma è in qualche modo a lui imparentato. Potremmo forse considerarlo come una sorta di gioco basato sul palleggio che talvolta vediamo oggi stesso fare ai giocatori di calcio in fase di riscaldamento.
Penso sia prezioso che quest’antico gioco non sia del tutto scomparso e si abbia ancora la fortuna di poterlo vedere durante qualche matsuri. Vedere il kemari e i suoi apparentemente semplici palleggi, ci riporta indietro di centinaia di anni, permettendoci di affacciarci a un mondo oggi scomparso ma in qualche modo ancora vive nella memoria della tradizione.
Fonti:
Wikipedia
japanese-wiki-corpus.org
kunaicho.go.jp
epochtimes.it
it.blastingnews.com
books.google.co.uk