bellezza giapponese oshiroi haguro hikimayu

I canoni di bellezza dell’antico Giappone: bianco, rosso e nero

La bellezza femminile ha avuto (ed ha tuttora) diverse declinazioni a seconda del luogo e delle tradizioni dei popoli. Attraversando i continenti e percorrendo un immaginario viaggio intorno al mondo, dal Mediterraneo ai paesi scandinavi, dall’Africa al Medio Oriente, percorrendo l’Asia tutta e approdando fino alle Americhe, incontreremo un immensa moltitudine di popoli e culture i cui esempi di bellezza sono profondamente diversi tra loro.
Il Giappone non fa eccezione e nel corso della sua lunga storia ha visto il loro continuo modificarsi; i canoni di bellezza femminile (e maschile) in passato sono stati influenzati da paesi vicini, sono cambiati, sono evoluti con il territorio e, più recentemente, gettano lo sguardo all’occidente.

I colori che hanno caratterizzato lo stereotipo della bellezza nipponica nel tempo sono tre: il bianco, il rosso e il nero.

Fonte: my kyoto photography Facebook page

Il Bianco

Un antico proverbio giapponese recita iro no shiroi wa shichinan kakasu いろしろいは七難しちはんかくす, ovvero il colore bianco nasconde i sette difetti. L’aforisma indica che una pelle bianca rende bella anche una donna con dei lineamenti imperfetti.

L’usanza di rendere il proprio viso il più bianco possibile risale al periodo Nara (710–794 D.C.), dove si cominciò a fare uso di un antesignano del cerone occidentale, l’oshiroi 白粉.
Oshiroi significa letteralmente polvere (粉) bianca (白) e le donne lo utilizzavano per dipingere interamente il loro viso.

Eisen – 美艶仙女香 (Bien Senyoko)

Questa usanza è stata importata dalla vicina Cina, ma sembra che la prima cipria giapponese sia stata prodotta da un prete buddista. Questi mostrò la sua “invenzione” all’imperatrice giapponese del tempo, che ne rimase entusiasta.
Comunque i canoni di bellezza successivi e l’evoluzione dell’uso dell’oshiroi nella società rimane un carattere distintivo della cultura nipponica.

Nel successivo periodo Edo, questa pratica si diffuse in tutto il paese. Nei secoli a seguire divenne una forma di cosmesi largamente diffusa, usata sia da Geisha, Maiko, attori del teatro Kabuki (anche uomini) che da donne comuni. Con il tempo si considerò quasi un “dovere morale” di una donna applicare la polvere bianca sul viso e sul collo, al fine di ottenere una pelle che assomigliasse a una pietra bianca levigata.

Nel 1813 venne scritto anche un libro, il Miyako fūzoku kewaiden (vademecum sulla cosmesi nella capitale) dove si trattava approfonditamente tutte le tecniche per avere la pelle “splendidamente bianca” attraverso la cura del viso con impacchi e trattamenti a base di erbe.

La quotidianità del Giappone moderno non permette più di vedere facilmente donne usare l’oshiroi, ma tuttoggi molte geisha o attori nel teatro kabuki lo utilizzano.

Il composto

Creare l’oshiroi richiedeva maestria e precisione. Un piccolo errore nella mistura e il composto poteva essere troppo liquido o denso, crepandosi dopo che lo si fosse steso sulla pelle.

Oggi l’Oshiroi è composto da talco, caolinite, carbonato di magnesio, amido di mais e ossido di zinco. Anticamente poteva essere in polvere o in forma di panetti duri a seconda di dove veniva prodotto.
Tra gli ingredienti c’era il mercurio o il piombo bianco, metalli tossici che provocavano un lenta intossicazione sia a chi li creava che a chi li usava. Per questo fu bandito l’uso di metalli pesanti per la sua preparazione dal 1937.

Shironuri 白塗り

Questo termine significa letteralmente “dipinto di bianco” ed indica uno stile di moda giapponese della corrente Visual Kei.

Lo shironuri nasce però negli anni ’60 come movimento politico, espressione dell’ala più nazionalistica e conservatrice del paese.
I praticanti dipingevano i loro volti nello stile tradizionale tramite massicio uso dell’oshiroi, indossavano uniformi scolastiche o militari e mostravano la bandiera di guerra giapponese.

Shironuri – Fonte: tokyofashion.com

Nella società contemporanea ogni influenza politica è oramai scomparsa. Chi segue questa moda non è costretto da particolari regole di vestiario o trucco, ed il look varia profondamente da persona a persona. Unico elemento che accomuna questo stile è il dipingersi il volto di bianco.

Oshiroi matsuri おしろい祭り

Al santuario di Oyamazumi, ad Asakura nella prefettura di Fukuoka, Il due dicembre di ogni anno si festeggia l’oshiroi matsuri, il festival dell’oshiroi.

Durante il festival i partecipanti si dipingono il viso di bianco con un grezzo oshiroi fatto col riso nuovo del raccolto, chiamato “shitogi”. Secondo la tradizione questo è di buono auspicio per un florido raccolto futuro.

Oshiroi matsuri – Fonte: ohmatsuri.com

La pittura va tenuta l’intero giorno di festa e può essere lavata via solo la sera. Inoltre si dice che viene data in pasto anche agli animali mischindola al loro mangime, cosa che li proteggerebbe dall’ammalarsi.

Secondo un antica leggenda del luogo, il santuario Oyamasumi era chiamato un tempo Yama no Kami, divinità della montagna. La divinità si immaginava fosse una dea che amava truccarsi il viso e gli abitanti del luogo cominciarono a macinare il riso del primo raccolto per creare lo shitogi. Quindi si dipingevano il volto in suo onore e pregavano per la prosperità del raccolto e la buona salute del villaggio.

Il rosso

Secondo il libro 300 anni di bellezza femminile nel periodo Edo (Edo 300-nen no josei-bi), il colore rosso è associato all’aristocrazia e alla nobiltà.

Questo colore non era facilmente reperibile. Nell’antico Giappone veniva estratto dai fiori di cartamo, il benibena 紅花べにばな (dai quali si estraeva anche il colore giallo), attraverso una complessa lavorazione che rendeva alto il costo della tinta, utilizzabile così solo dai più abbienti.

In generale il rosso veniva usato per far risaltare le labbra del viso in contrasto con la pelle chiarissima truccata con l’oshiroi. Dato il costo era utilizzato principalmente dalle geisha, e le loro apprendiste, le maiko, lo utilizzavano molto poco, solo per il labbro inferiore. Il trucco di maiko e geisha non era (e non è) il medesimo in tutto il Giappone, e variava a seconda della zona; poteva differire nell’uso del fard, dell’eyeliner rosso e dell’eyeliner nero. Questo dipendeva tipicamente sia dalle inclinazioni della okasan, colei che le gestiva, sia dallo stile generale del distretto dove vivevano.

Oggi l’uso del colore rosso è alla portata di tutti; la cosmesi moderna e i suoi prezzi contenuti hanno reso di facile reperibilità ogni colore e la donna giapponese è libera di truccarsi senza difficoltà.

Il nero

Questo era uno dei colori principali nella ricerca dell’equilibrio armonico della bellezza nipponica. L’uso del nero richiamava l’intenso colore dei capelli delle donne giapponesi con due antiche usanze: l’Ohaguro e l’hikimayu.

Ohaguro お歯黒

Fonte: livejapan.com

Il termine Ohaguroぐろ significa letteralmente “denti neri” e consisteva proprio nel tingere i denti con una tinta di colore nero.

Questa usanza affonda le sue radici nell’antichità giapponese; sono state infatti ritrovate statuette haniwa risalenti al periodo Kofun (300 – 538 D.C.) che già presentavano i denti anneriti e se ne accenna anche nel Genji Monogatari, capolavoro letterario dell’XI secolo. In genere questa pratica è comune anche in molti altri popoli dell’Asia centrale, come in India o nel Sud est asiatico come nelle Filippine, Laos, Vietnam e nei paesi vicini.

L’ohaguro era il nome usato per questa usanza dagli aristocratici ma, a seconda di chi lo praticava, prendeva nomi diversi: fushimizu (五倍子水) nella corte imperiale di Kyoto, kanetsuke (鉄漿付け) tra il popolo, o ancora tsukegane (つけがね) e hagurome (歯黒め).

Questa usanza è cambiata nel corso dei secoli. Inizialmente era una pratica comune sia per uomini che per le donne e combaciava con la fine del periodo della pubertà. Dal periodo Edo in poi diventò però caratteristica delle donne abbienti, geisha, prostitute, donne sposate e donne maggiorenni nubili. Nei villaggi o tra i contadini era usanza solo nei particolari giorni di festa per importanti celebrazioni o durante i matsuri.
L’ohaguro aveva quindi sia funzione estetica che valore sociale.

La composizione

La tinta era costituita generalmente da acetato ferrico ottenuto sciogliendo della limatura di ferro nell’aceto, talvolta mista a tannini vegetali come polvere di tè. Rivestire i denti era una pratica da seguire giornalmente e tra le sue funzioni aveva anche l’importante vantaggio di prevenire la formazione di carie e proteggere lo smalto dei denti.

Con l’epoca Meiji questa usanza è andata scomparendo e dopo l’era Taisho è quasi del tutto scomparsa. Oggi è possibile vedere questa usanza solo raramente tra alcune geisha o nel teatro kabuki.

Hikimayu 引眉

Il termine hikimayu 引眉ひきまゆ significa letteralmente “tirare su le sopracciglia” e indica la pratica di ridipingere le sopracciglie più in alto dopo avere raso quelle naturali.

Fujiko Yamamoto in Ooe-yama Shuten-dôji (1960) fonte: imdb.com

L’inizio di questa pratica è riconducibile anche in questo caso alla Cina, che nell’antichità rappresentava un fermo punto di riferimento per tutti i paesi dell’Asia. Ricordiamo che la Cina era la maggiore potenza economica, un vasto impero foriero di tradizioni, filosofie, tecnologie e cultura che influenzava tutti i paesi vicini.
Si pensa che questa pratica nacque per stendere più facilmente l’oshiroi sul viso.

Il periodo Heian è caratterizzato da un distaccamento culturale del Giappone dalle influenze straniere, cominciando un percorso che l’ha portato ad una forte autonomia identitaria; arte, cultura e tradizioni cambiano e così anche l’hikimayu che prende forme diverse rispetto alla Cina.
Se in quest’ultima si usavano sopracciglia dipinte a mezzaluna, in Giappone sono invece più ampie e tondeggianti. Possibilimente accadde per una ricerca armonica del viso, cercando di diminuire la fronte visibile mostrata dai lunghi capelli sciolti ai lati.

Maschera Noh – Fonte: http://japanese-vintage.org

Esistono anche diverse maschere del teatro Noh che confermano il comune utilizzo di questa tipo di trucco.

Similarmente all’ohaguro, anche l’hikimayu fu praticato sia da uomini che da donne inizialmente, per poi diventare tratto distintivo della cosmesi femminile fino al meriodo Meiji.

I canoni di bellezza giapponesi oggi

L’apertura all’occidente del Giappone del periodo Meiji ha portato l’influenza dell’occidente e dei nostri canoni di bellezza. Soprattutto la sconfitta nel secondo conflitto mondiale e la vicinanza con le mode americane, ha stravolto molti usi o accelerato dei cambiamenti che erano già in essere.

La moda contemporanea giapponese è libera, trasgressiva, colorata nel privato e generalmente sobria e rigida in ambito lavorativo. Le tendenze cambiano e mutano con grande velocità, e forse l’unica eredità del passato ancora comunissima è l’apprezzamento per la pelle chiara. Comunque per maggiori approfondimenti vi rimando all’articolo dedicato alla bellezza nel Giappone contemporaneo.

Conclusione

L’elemento che sovente colpisce del Giappone è il cambiamento nel mantenimento della tradizione. Ritengo che poter vedere un così ampio caleidoscopio di possibilità sia un valore aggiunto del Sol Levante. Una donna in kimono, una geisha, una ragazza con eccentrici vestiti o una donna in affari con impeccabile tailler lungo una strada, possono raggiungere un insperata armonia d’insieme. Prove di cambiamento di un paese in continua evoluzione che guarda sempre avanti senza dimenticare mai il passato.

Fonti
Wikipedia
japanaibunka.wordpress.com
j-fashion.fandom.com
smallnewsdarumapedia.blogspot.com
japansociology.com
medium.com
livejapan.com
nippon.com
ohmatsuri.com

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